la sua interpretazione sul match del sempre grande Clerici
Gianni Clerici, la repubblica del 30.05.2011
C'era, al Giorno, un grande reporter, titolare della prima column (rubrica) mai apparsa in Italia, Giancarlo Fusco. Una volta seguivamo, assieme a Mario Fossati, la Milano-Sanremo e all'arrivo si batté una mano sulla fronte ed esclamò: «La gatta!». Prima che se ne andasse verso la stazione, mi spiegò che aveva dimenticato di nutrire la gatta, a Milano, e che era meglio che del «colore» mi occupassi io. Non lo licenziarono, e non solo per bontà d'animo. Così, oggi, tornato in sala stampa dopo la partita del futuro campione italiano Gianluigi Quinzi, un quindicenne sconfitto dopo tre match point da un energumeno di tre anni più anziano, mi son venuto a trovare in una situazione ancor più disagevole di Fusco. Un italiano era incredibilmente approdato ai quarti, dopo ben sedici anni, e io non l'avevo visto. Per mia fortuna, e per la completezza dell'informazione, incontravo al bar il mio collega Philippe Bouin, il miglior cronista dell'Équipe, ora dedito alla vendita di vini pregiati. Aveva assistito alla partita tra un gregario ormai rassegnato, lo spagnolo Montanes (38) e la speranza italiana Fognini (49). «Fognini -è Bouin che parla - aveva rimontato da 1-4 al quinto e il suo avversario si trovava a tre punti dal match, sul 6-7. Serve: fra primo e secondo servizio si piega su se stesso per un dolore alla coscia sinistra. Commossa, l'arbitra Luisa Engzell (la stessa offesa da Serena a Flushing) scende a controllare. Sono crampi. Fognini viene assistito e riesce (eroicamente) a vincere il game. Lo spagnolo sale 8-7, Fognini viene penalizzato nel fallo di piede, ma salva il match point. Un giudice davvero severo sanziona ancora Fognini per aver sfiorato la riga col piede, ma il giovanotto salva anche il secondo match point. E un terzo ne annulla, mentre lo spagnolo sembra d'un tratto vittima di una sindrome da match point, e per questo li affronta preoccupatissimo. Infatti , per un probabile intervento di divinità inclini al paradosso, i match point di Fognini diventeranno presto cinque, e i falli di piede l'incredibile ammontare di nove, quasi fossimo ad Wimbledon. Ma incurante del dolore, Fognini getterà la stampella oltre la rete e colpendo con una fluidità sorprendente per una vittima di crampi afferrerà l'incredibile vittoria contro un tipo che aveva mostrato, in fondo, di non meritarla». Fin qui, sicuramente mal-tradotta, la testimonianza dell'ottimo Philippe Bouin. Riprendo la mia modesta attività per sottolineare un ingresso ai quarti meno sorprendente, ancorché privo di malori e di falli di piedi. Quello di Francesca Schiavone sempre più virile nonostante la «rouche» della sottanella. La sua avversaria, Jelena Jankovic, era certo impressionante per l'abito di vivissimo fucsia, oltre che per la regolarità: la stessa che le aveva consentito nel passato di appropriarsi di un titolo sempre sfuggito aFrancesca, quello degli internazionali romani. Dopo un inizio più autorevole della Schiavone (5-1) qualche errore di troppo (eccessi nelle smorzate) equilibrava il match. Ma l'aria di Parigi non finisce di ispirare la Leonessa. Ed eccola chiudere l'ultimo game con ripetute discese a rete, un genere ormai quasi sconosciuto tra le esponenti dell'ex sesso debole. Eccola, alla fine, abbandonata a baciare le terra, così come accadde nella gloriosa finale del 2010. Pare giusto ricordare, oltre a ciò, la sconfitta della sua prevista avversaria nei quarti, la russa Zvonareva, sostituita dalla meno esperta Pavlyiuchenkova. Giornata, in fondo, memorabile. Era dal 1949 che due italiani, l'uno nato a Fiume, l'altra a Dresda, Kucel e la Ulstein-Bossi, non raggiungevano i quarti. L'Italia s'è desta.