un punto di vista ...
Giampiero Mughini per Dagospia
Tre set a uno contro Roger Federer, un Ralf Nadal arcigno e monumentale come d'abitudine ha vinto il suo sesto titolo sulla terra rossa del Roland Garros a Parigi. Quattro di quelle sei vittorie le ha accumulate battendo in finale Federer, un tennista che sulla terra rossa è comunque divino ma meno che su altre superfici.
Per noi tossicodipendenti del tennista svizzero, per noi che lo reputiamo uno dei più grandi atleti dell'era moderna, per noi che per nessuna donna al mondo rinunceremmo a gustare minuto per minuto le sue partite, le quattro ore che è durato il match domenica pomeriggio sono state ore di delizia e di supplizio.
Di delizia tantissima, ma ancor più di supplizio. Vedere sì i tanti "momenti Federer" di cui ha scritto una volta David Foster Wallace, lo scrittore americano che andava in estasi innanzi al tennis giocato da Federer; ma vedere anche i tanti momenti in cui Federer soffre a tal punto Nadal da diventare l'automa di se stesso. Ciò che è accaduto alla fine del primo set parigino e al tie-break del secondo. Vengo e spiego.
Una maledizione. Una perfetta macchina anti- Dio onnipotente che ci ha creati tutti è stato ambivalente nei confronti di Federer e del suo destino. Da una parte gli ha dato tutto il talento di cui può disporre un essere che impugni la racchetta e con quella colpisca la palla da tennis; oncia più oncia meno il talento che aveva l'australiano Rod Laver, il più grande tennista di tutti i tempi.
Dall'altra ha creato un uomo che è una sorta di macchina anti-Federer, una summa di caratteristiche tecniche e forza agonistica che sembrano fatte apposta per scompigliare e ferire al cuore il nostro inenarrabile campione. Dico lo spagnolo Ralf Nadal.
Federer. Innanzitutto perché è mancino e dunque può pressare Federer sul suo rovescio, che non è l'arma migliore del nostro eroe. E poi perché se ne sta in fondo al campo a tirare pallacce avvelenate le cui rotazioni le fanno rimbalzare all'altezza della spalla dello svizzero, e a quel punto sono cazzi amari per ribatterle.
E poi perché Nadal non reputa che esista al mondo una palla sparacchiata dall'avversario che non si possa acciuffare e rimandare: arriva una bordata da cento e passa chilometri all'ora che batte a dieci metri dallo spagnolo, ebbene lui la insegue e la rimanda. Non ci si può credere, ma lui ci riesce.
Al Roland Garros lo ha fatto quattro o cinque volte, e a quel punto è inevitabile che l'avversario si scoraggi e cominci ad avere paura. E nel tennis non è permesso avere paura, perché se è vero di tutti gli sport che si giocano con testa, mille volte di più si gioca con la testa il tennis.
Testa contro testa, sulla terra rossa Federer contro Nadal è come se avesse perso in partenza. E' successo quasi da subito, alla metà del primo decennio del Duemila. Quando un Federer invitto e invincibile che non conosceva l'esperienza e il sapore della sconfitta s'è visto arrivare addosso questo spagnolo che della sua razza ha tutta la fierezza e l'onore, e da subito ha tremato.
Le prime volte magari perdeva i primi set e poi lo rimontava. Le prime volte, poi no. Al Roland Garros Federer perse contro Nadal tre finali di seguito, dal 2006 al 2008. In quello stesso 2008 perse al quinto set la finale di Wimbledon, una partita che in molti hanno giudicato la più bella nella storia del tennis.
E finché non abbiamo visto la semifinale parigina di venerdì pomeriggio, la partitissima in cui Federer ha battuto Nole Djokovic, quello che sta per diventare il numero uno al mondo. Partita unica e stupefacente. Solo che per Federer è cento volte più facile giocare contro il serbo che non contro lo spagnolo.
Noi che lo amiamo così tanto lo sappiamo, lo sappiamo fino in fondo che sono partite maledette quelle contro lo spagnolo. Lo sappiamo e soffriamo con luci, punto dopo punto. E d'altra parte quale grande amore non si nutre di supplizi?