Intervista dell'Avv. Cesare Di Cintio in merito ai recenti casi di doping di alcuni atleti russi.
A disposizione.
RUSSIA: Tre casi di doping in pochi giorni.
Tre atleti, tre sport diversi, un’unica nazione, un’unica sostanza dopante.
Questo in estrema sintesi quanto sta emergendo in queste ore con riguardo alla Russia e all’assunzione del Meldonium, sostanza dopante balzata agli onori delle cronache con il caso Sharapova. La tennista russa, però, sembra non sia la sola ad aver assunto il farmaco, viste le notizie di positività del pallavolista Markin e del biathleta Latypov.
Insomma, Avv. Di Cintio, doping di stato o semplice fatalità?
Certamente tre casi simili, ma sarei molto prudente prima di parlare della presenza di un sistema nazionale organizzato volto all’assunzione di sostanze proibite. Ciò che emerge con certezza, invece, è il fatto che questa sostanza è stata (e forse è) usata da molti atleti, al fine di migliorare il recupero dello sforzo fisico.
Da gennaio il Meldonium è entrato a far parte della lista delle sostanze dopanti. Chi determina il divieto di assunzione di una determinata sostanza?
A livello internazionale la Wada, World Anti Doping Agency, attraverso un preciso processo interno valuta attentamente quali sono le sostanze che producono un incremento delle prestazioni fisiche ovvero un migliore recupero dallo sforzo atletico. Nel caso venga individuata la presenza di nuove sostanze che operano in tal senso, dopo una attenta procedura interna all’Agenzia, il Comitato Esecutivo della stessa nella riunione di settembre ne delibera il loro immediato inserimento nella lista delle sostanze proibite, anche se la lista aggiornata entra in vigore a gennaio dell’anno successivo.
Da un punto di vista strettamente giuridico, quali sono le possibili strade da percorrere per un atleta affetto da positività?
In seguito alla positività ad un controllo antidoping, vi è la possibilità per l’atleta di richiedere le controanalisi sul campione di sangue e/o urina già esaminato. Nel caso non le chiedesse ovvero nell’ipotesi in cui le controanalisi confermassero l’esito delle prime analisi, il referto dell’antidoping fa piena prova. In tal senso, quindi, l’atleta non può negare l’assunzione del farmaco.
Quindi, nessuna possibilità difensiva?
Non è così. Ogni situazione deve chiaramente essere valutata e studiata approfonditamente, in quanto vi sono delle peculiarità che non possono essere tralasciate.
Innanzitutto, ciò che spesso si rivela determinante per una linea difensiva efficace è l’elemento psicologico dell’assunzione della sostanza. In altre parole è chiaro che la posizione dell’atleta sarà ben più grave nel caso in cui emerga che lo stesso ha assunto la sostanza dolosamente con il preciso intento di doparsi e quindi di migliorare le proprie prestazioni.
Ben diverso, se il farmaco è stato assunto per curare una patologia pregressa ovvero all’insaputa dell’atleta e quindi in mancanza dell’intento e della volontà di alterare la propria prestazione agonistica.
Oltre all’elemento psicologico, quali possono essere le altre linee difensive da sostenere?
Nel caso di specie, con riguardo al Meldonium, a mio avviso è determinante comprendere quando la sostanza è stata assunta. Mi spiego meglio. Visto che la sostanza nel 2015 era lecita, si potrà sostenere che la stessa sia stata assunta lo scorso anno e che i controlli successivamente intervenuti, siano solo la conseguenza di una assunzione precedente. In tal senso, si dovrà altresì provare, con l’ausilio di un perito esperto, la circostanza per cui il fisico dell’atleta non è riuscito a smaltire la sostanza seppur siano trascorsi parecchio giorni dall’assunzione.
Insomma, Avv. Di Cintio, il doping è una materia piuttosto complessa?
Assolutamente sì. Il doping rappresenta una materia piuttosto specifica con norme sia sostanziali che procedurali molto particolari. Come tutti gli ambiti giuridici così peculiari, è necessario conoscere bene le problematiche e i rischi nei quali si può incorrere così da ridurre al minimo la possibilità di incorrere in sgradevoli sorprese.
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