Eh sì Vet, stiamo vivendo un pezzo di storia in cui scopriamo la nostra debolezza individuale e collettiva.
Così faccio una similitudine con il titolo del post.
La questione, ciclicamente, ritorna sempre sugli stessi punti, ovvero sulla "consapevolezza" del proprio tennis e come la tattica (o ancor di più la strategia) debban fare i conti con la tecnica individuale.
Mi permetto un gioco di parole:
la tecnica genera la tattica e non il contrario. E, ancora, si lavora così tanto tecnicamente per arrivare a generare qualcosa di tatticamente accettabile.
Ecco quindi schemi di gioco e sequenze ripetute e ripetute per consolidare il proprio di gioco. Quello che tutti noi consideriamo il nostro "rifugio sicuro" (
o comfort zone) e che per l'avverario è "il nostro gioco". Purtroppo - troppo spesso - i giocatori confondono la tecnica con la tattica: se quel colpo non ce l'hai (tecnicamente), non lo puoi usare. Non te lo puoi inventare. Non è nella routine di colpi, nella sequenza di colpi, nella "situazione" dove hai le percentuali soddisfacenti di riuscita. E se non hai quella tecnica...NON HAI quella tattica.
Pertanto, caro Alex, devi giocare quello che sai fare. L'ATP è un'altro pianeta.
Certo che ti piacerebbe leggere il match con quel distacco da gatto sornione, a leccarti la zampetta e a lisciarti il pelo...ma così non è. Inutile illudersi.
E' proprio "la partita" a chiederti di essere "consapevole", tecnicamente consapevole.
Se in allenamento non hai pianto, in partita non puoi ridere. E' il tuo gioco Alex che devi fare. Il riscaldamento è una farsa. Il primo game è il risveglio nel mondo reale. Le partite girano a favore o a sfavore non perché hai "genialmente scoperto" il punto debole avversario... Troppo bello, vero? Le partite si vincono o si perdono perché hai giocato i colpi che hai allenato. Quando "giochi bene", rilassato, con la racchetta che in mano ti sembra una piuma o, se ti piace la definizione, "giochi facile"... è perché non pensi nemmeno a quello che fai...lo fai e basta. E' il tuo cervello che riconosce la palla, i rimbalzo, la velocità, ti fa muovere i piedi e il corpo e ti fa colpire. In pratica "ti ricordi come si fa", è un
déjà vu. Wikipidia dice: "insieme di fatti totalmente casuali di cose, animali o persone che entrano in contatto col soggetto, che provocano la sensazione di un'esperienza precedentemente vissuta".
Purtroppo caro Alex, il lavoro del maestro (o coach) è questo: costruire, mattone per mattone, la tua facoltà di scegliere tra tanti ricordi. Ma i ricordi sono quello che hai già fatto e sai fare: è il TUO GIOCO. Tutto il resto sono esattamente il contrario. Quello che Vet, stragiustamente considera pericoloso o controproducente: giocare sui punti deboli dell'avversario. Non ti deve proprio interessare, perché tanto ci arrivi lo stesso a quello che non sa fare. Ci arrivi, tranquillo.
Tante, tante volte si perde con l'alibi di aver cercato il punto debole dell'avversario. Ripeto: sono alibi per autoassolverci. Il tennista è bravissimo in questo: a confessarsi (in campo, con la testa nell'asciugamano). Poi fa penitenza tra una bestemmia e una parolaccia. E infine paga per i propri peccati. Peccati di vanità e arroganza.
Al cancelletto, appoggiato alla rete, c'è il maestro/coach che ti guarda (rassegnato) e ti dice:
"...Ma non potevi giocare il tuo gioco anziché farti tutte 'ste pippe mentali???!!!" O, se va bene: "Bravo, finalmente hai giocato alla tua maniera!".
Sono due facce della stessa medaglia. E anche se non c'è il maestro, ci sei tu stesso Alex: la tua coscienza (sporca) te la canterà sul muso la verità. A meno che tu non sia uno psicopatico e sei convinto di essere Federer.