Veterano ha scritto: Permettimi di non essere daccordo,non hai usato il cervello ma una tecnica migliore della loro che ti ha permesso ti farli correre....in quarta si sbaglia per errori non forzati su palle facili,ad alto livello di palle facili da rigiocare te ne arrivano ben poche e si sbaglia su delle forzature imposte...non credi ci sia una bella differenza.......e ti direi io no corro piu' un tubo ma prova a farmi muovere dalla mia posizione se ci mettiamo a menarci sulla diagonale di dritto e a portarti a casa il punto....o io non corro piu' una cippa,e non ci va un cervello atomico a capire che basterebbe farmi correre da destra a sinistra per vincere la partita,ma ti dico prova a farlo....e vincere usando il cervello........
Credo sia un discorso trito e ritrito. Chiaro che se posseggo un buon top da fondo campo da poter giocare sulle diagonali sarebbe sciocco non sfruttarlo, ma in questo caso significherebbe aver dedicato tempo ed attenzione a questa modalità di gioco, apparterrò, quindi, molto probabilmente proprio alla famiglia dei regolaristi. Il punto è se non ho questa tipologia di colpi tra le mie armi proprio perchè non appassionandomi questo modo di interpretare il tennis, non l'ho mai allenato. Ecco, pertanto, lo scontro di visioni, da una parte il tennis ormai sempre più omologato che si vede anche in televisione caratterizzato da grande fisicità nel colpire sempre più forte la palla e che, evidentemente è sempre più spesso insegnato ai giovani che si avvicinano al tennis che tu, Veterano, evidentemente consideri l'unica o la più efficace chiave risolutiva per costruirsi un tennis vincente. Dall'altra un tennis sempre meno praticato, purtroppo anche grazie ai materiali che hanno reso sempre più facile trasferibile la potenza muscolare alla palla, che vorrebbe esaltare maggiormente la creatività e l'imprevedibilità individuale fuggendo da omologazioni che intristiscono, a mio avviso, la spettacolarità degli scambi; come esempio basta citare l'ultima finale degli internazionali di tennis di Roma, dove si è assistito a colpi tecnicamente ineccepibili, diagonali perfette con cambi in lungo linea altrettanto efficaci, potenza in abbondanza, ma una monotonia contrastata solo da qualche smorzata e dal punteggio fortunatamente in bilico, ma lo spettacolo nel gioco giocato è un'altra cosa!
Se non si hanno le diagonali solide nel DNA del nostro gioco, forse perchè è un tipo di gioco che non si ama e, quindi, invece di cercare di svilupparle perchè non considerare efficace allenare altre soluzioni? Io continuo a faticare nel comprendere per quale motivo per un 4° dovrebbe essere più facile consolidare efficaci colpi da fondo campo, magari in top, colpo tutt'altro che naturale, piuttosto che un gioco a tutto campo, per così dire, che permetta anche variazioni, giocare qualche volè e saper modulare profondità ed effetti impiegati, lasciando libera anche un po' la creatività del tennista permettendogli di distinguersi dagli altri. Ormai i tennisti sembrano tutti uguali, giocano un po' tutti alla stessa maniera, ma siccome non tutti possono vincere, evidentemente perdono anche quelli che fanno bene le diagonali!
Credo che questa evoluzione partita da lontano, con l'arrivo dei primi regolaristi negli anni '70, ed agevolata con l'arrivo dei materiali tecnologicamente più evoluti che hanno permesso di ampliare le dimensioni del piatto corde a parità di peso della racchetta, sia stata sviluppata da alcuni allenatori e manager che con la particolare fortuna dimostrata nel scegliere i cavalli giusti su cui puntare (Agassi, Currier, Chang, per citare alcuni) hanno fatto credere che questo sia l'unico modo di poter vincere nel tennis moderno e cambiare ora questo trend è molto difficile e i miseri tapini che popolano il mondo del tennis amatoriale (quello che foraggia tale business) non possono che subire l'effetto mediatico della macchina economica costruitasi su questo modello tennistico. Io che ho cominciato a giocare quando il tennis giocato era un altro e Borg e Connors rappresentavano dei marziani, continuo a pensare o illudermi
che si possa essere sufficientemente performanti anche se non si consuma la riga di fondo del campo e, nel mio piccolo, ci provo ancora. Ad maiora.