Gianni Clerici, la repubblica del 5.06.2012
Sono certo accadute oggi, al Roland Garros, vicende di maggior rilievo di quel che leggerete, amici aficionados. Il ritorno di Dal Potro a spese di Berdych, la patriottica sopravvivenza di Tsonga, la vittoria di Murray su Gasquet, l'inattesa uscita di Li-na contro la qualificata Shvedova, il nuovo successo per ko che conferma Nadal quale favoritissimo del torneo. Tuttavia dedico le mie righette a un ragazzo di sedici anni, Gianluigi Quinzi, anche perché mi trovo in debito con lui. Quando aveva non più di dodici anni, un giorno in cui mi trovavo a passare di fronte al campo n.1 del Foro Italico, quello vicino agli uffici, credetti di vedere un bambino prodigio. Palleggiava con Riccardo Piatti, e lo faceva con una disinvoltura, una potenza, una precisione tali che non credetti ai miei occhi. «Si chiama Gianluigi Quinzi — mi disse Riccardo — e potrebbe diventare un campione». Entusiasta come posso essere, nel mio finto scetticismo, mi buttai a scrivere uno dei miei abituali pezzetti, che purtroppo, per mancanza di spazio non venne pubblicato. L'ho ricordato oggi a quel bel sedicenne di Gianluigi, che ora, dopo aver vinto il Trofeo Bonfiglio, intitolato a un mio giovane sparring partner del Tennis Milano, troppo presto scomparso, solleva la curiosità dei colleghi italiani presenti, e addirittura di un oriundo Usa, Tom Perrotta. Curiosità forse giustificata dal fatto che, tra i precedenti vincitori del Bonfiglio, troviamo Kodes, Panatta, Lendl, Courier, Ivanisevic, e altri grandi. Gianluigi Quinzi è, nientemeno, il secondo nel mondo (classifica Federazione Internazionale) della sua età. Viene da Fermo nelle Marche, ha un papà presidente del localeTennis Club, Luca, e una mamma, Carlotta Baggio, campionessa di pallamano: coppia borghese simile a quelle proletarie dell'est, che vanno monopolizzando per interposte figlie il tennis contemporaneo. Le possibilità economiche del padre avevano contribuito a inviare Gianluigi, ai tempi in cui lo vidi, da Bollettieri, sorta di fabbrica militaresca, dove si impara, insieme alla battuta, a parlare inglese e a rifarsi il letto. Le difficoltà erano rappresentate dall'istituto scolastico italiota, che si accaniva nel considerare le assenze come ingiustificate. Temo che papà e mammà sportivi abbiano avuto più di un'incertezza, nel continuare quella sorta di scommessa esistenziale, con molti lati dubbi. Ma, mentre Gianluigi imparava a crescere, e non cessava di vincere, giunse in aiuto un liceo comprensivo, il Da Vinci di Fermo, e non danneggiarono certo gli strumenti di comunicazione contemporanea, che consentono, massi, di studiare a mille miglia da casa. Nel frattempo, l'istruzione specifica di tennista non era molto aiutata da Bollettieri, che aveva venduta la sua celeberrima "Academy" alla Intemat. Manag. Group, e aveva spinto la famiglia Quinti a optare per l'Argentina, la molto tennistica città di Tandil, e il coach oriundo, di antica esperienza torinese, Eduardo Infantino. Qui a Parigi, ci ha detto il giovanotto, la maggior emozione è stata un allenamento con Nadal, e l'incredibile velocità rotatoria del suo braccio, «superiore addirittura a Roger». Dopo aver parlato a un gruppo di vecchi cronisti, Gianluigi si è allontanato, in apparenza calmo. E mi sono reso conto della sua emozione soltanto ritrovando, sul tavolino, il suo cellulare.