Ciao a tutti,
nei post in giro qua e là sul Forum ho avuto modo di accennare alla questione che vengo qui ad esporre in modo più ampio.
Ho 40 anni ed ho cominciato a giocare a tennis a 13, dai 21 ai 39 ho smesso per riprendere lo scorso Giugno.
Ebbene, durante la faticosa risalita della china tecnico/tattica/agonistica un pensiero sempre più forte si faceva strada nella mia testa: siamo portati naturalmente a muovere il corpo in una certa maniera e se la tecnica tennistica "allo stato dell'arte" va in contrasto con quella che è la nostra naturale propensione al movimento beh, cari lettori, a mio parere è un bel disastro.
A meno che non si lavori sul cucire la tecnica tennistica, un pò meno allo "stato dell'arte", su quello che è il nostro modo naturale di muoverci dal quale, specie alla mia veneranda età, ormai non ci si schioda proprio più.
Alcuni esempi possono chiarire i termini del discorso di fondo, parlo naturalmente della mia esperienza personale.
*sul servizio non c'è verso per me di trovare il timing giusto per l'impatto arrivando alla trophy stance col movimento classico circolare/ellissoidale di salita del braccio destro. Devo "tagliare" per una via retta usando un movimento breve stile smash, solo così trovo timing e fluidità nelle parti successive del movimento;
*sempre sul servizio tendo naturalmente ad "uscire" troppo presto con la spalla dx ovvero dal lato del colpo prima dell'impatto, a detrimento tra le altre cose del direzionamento del colpo. Invece di combattere la tendenza consolidata del mio corpo a fare quel movimento ho "parzializzato" servendo sempre e comunque coi piedi paralleli alla linea di fondo sia da dx che da sx;
*ancora sul servizio: non c'è verso che io riesca ad offrire sufficiente piatto corde all'impatto con l'impugnatura Continental sulla prima di servizio cercando l'ace piatto. Sono sicuro si tratti di un movimento non bene identificato del polso durante l'effettuazione del servizio che finisce per sortire l'effetto di cui sopra. Ho risolto impugnando Eastern di dritto sulla prima di servizio trovando ottima potenza ed aces a patto di focalizzare bene la pronazione del polso al momento dell'impatto. Uso la Continental sulla seconda perchè lì sì che mi serve lo spin;
*sul dritto salvo rarissimi casi tendo a "trascinarmi in avanti" la gamba dx durante il movimento. Quando ho capito che tenerla ferma mi costava molto salato in termini di performance del colpo (che era davvero povera) ho realizzato che quel che mi serviva era un sistema per trovare il controllo necessario del colpo, anche e soprattutto quando picchio, che esulasse da tale problema. L'ho trovato uncinando ossessivamente il finale costringendomi a colpire sempre, comunque, no matter what il retro del lato sx del mio trapezio con la testa della racchetta ad ogni dritto che faccio sia esso il primo colpo del riscaldamento magari fatto da metà campo che un passante sul matchpoint. Questo movimento è diventato uno dei capisaldi del mio dritto e quindi del mio gioco;
*sempre sul dritto ho passato mesi a cercare un'apertura "standard" da ripetere fino allo sfinimento senza riuscire a trovarla. O meglio, ne adottavo una e di tanto in tanto perdevo timing e dritto al che ne adottavo un'altra finchè non succedeva la stessa cosa e così via. Al che una sera mi sono detto "ma se invece di adottare un'apertura "preconfezionata", ovvero tecnicamente perfetta ma dalla rigida osservanza, adottassi l'apertura che "sento più naturalmente di fare"? Beh, è stato il classico uovo di Colombo: ora sul dritto "apro" senza pensare alla posa da adottare, apro e basta generalmente in modo generoso con (ma lo "sento", non mi impongo di farlo) il polso "aperto" e la testa della racchetta alta. Beh, questa trovata assieme alla cosiddetta "uncinatura" della quale parlavo sopra non solo ha sistemato il mio dritto facendone la pietra angolare del mio gioco assieme al servizio ma mi ha fatto e mi fa risparmiare parecchie energie, fisiche e mentali, rispetto a quelle che spendevo prima nell'esecuzione di un dritto molto ma molto meno performante;
*sul rovescio altra esperienza interessante. Ad una mano nella mia prima vita tennistica, ma estremamente falloso. Bimane nella seconda vita tennistica, meno falloso ma decisamente non istintivo. Il mio istinto sul rovescio è giocarlo ad una mano in back, ci posso girare attorno quanto voglio ma la realtà è quella. Al che il problema principale diventa la solidità su quel colpo quando arrivano colpi carichi di peso e di spin da quella parte (se c'è spin e basta nel senso poca velocità di palla ho tutto il tempo di "pensare" per quelle frazioni di secondo necessarie per giocarlo bimane in quanto "avere il tempo di pensare" in genere significa "esulare dall'istinto" ovvero dal giocarlo in back). A mio parere c'è un solo modo per riuscirvi e benedetto Zen&Tennis in tal senso: guardare sempre, solo, esclusivamente ed ossessivamente la palla. Io ad esempio mi sono accorto che la guardavo prevalentemente quando era dalla mia parte di campo "perdendomi" un pò quando era dall'altra parte. Da quando la guardo sempre, quasi in modo ipnotico, è successa una cosa davvero strana ma benvenuta: ho trovato il tempo per oppormi degnamente ai colpi carichi di velocità e spin contrapponendo loro il back di rovescio che da colpo di difesa, a volte disperata, è così diventato un tatticamente importante colpo di palleggio in quelle circostanze permettendomi l'importante recupero del centro del campo e quindi la "parità" dell'equilibrio dello scambio. In sintesi il senso della mia esperienza è che se si guarda sempre per davvero la palla si può essere solidi in palleggio col rovescio in back anche se pressati da palle profonde, veloci ed arrotate. L'espediente di Zen&Tennis, peraltro ovviamente fondamentale anche su dritto e servizio, mi è servito a sdoganare quello che è il colpo a me più naturale/congeniale sul rovescio ovvero il back;
Ovviamente son considerazioni da giocatore di quarta categoria, per giunta quarantenne. Ma mi sembrava interessante condividerle con tutti in quanto a mio parere dal lato "allenatori" c'è quasi sempre lo "stato dell'arte" della tecnica (e ci mancherebbe altro) ma praticamente mai lo studio di come adattarla sui movimenti naturali di chi pratica tennis come loro allievo.
Ed Osho insegna che per scendere dal letto non pensiamo affatto, scendiamo e basta
Ciao a tutti!
nei post in giro qua e là sul Forum ho avuto modo di accennare alla questione che vengo qui ad esporre in modo più ampio.
Ho 40 anni ed ho cominciato a giocare a tennis a 13, dai 21 ai 39 ho smesso per riprendere lo scorso Giugno.
Ebbene, durante la faticosa risalita della china tecnico/tattica/agonistica un pensiero sempre più forte si faceva strada nella mia testa: siamo portati naturalmente a muovere il corpo in una certa maniera e se la tecnica tennistica "allo stato dell'arte" va in contrasto con quella che è la nostra naturale propensione al movimento beh, cari lettori, a mio parere è un bel disastro.
A meno che non si lavori sul cucire la tecnica tennistica, un pò meno allo "stato dell'arte", su quello che è il nostro modo naturale di muoverci dal quale, specie alla mia veneranda età, ormai non ci si schioda proprio più.
Alcuni esempi possono chiarire i termini del discorso di fondo, parlo naturalmente della mia esperienza personale.
*sul servizio non c'è verso per me di trovare il timing giusto per l'impatto arrivando alla trophy stance col movimento classico circolare/ellissoidale di salita del braccio destro. Devo "tagliare" per una via retta usando un movimento breve stile smash, solo così trovo timing e fluidità nelle parti successive del movimento;
*sempre sul servizio tendo naturalmente ad "uscire" troppo presto con la spalla dx ovvero dal lato del colpo prima dell'impatto, a detrimento tra le altre cose del direzionamento del colpo. Invece di combattere la tendenza consolidata del mio corpo a fare quel movimento ho "parzializzato" servendo sempre e comunque coi piedi paralleli alla linea di fondo sia da dx che da sx;
*ancora sul servizio: non c'è verso che io riesca ad offrire sufficiente piatto corde all'impatto con l'impugnatura Continental sulla prima di servizio cercando l'ace piatto. Sono sicuro si tratti di un movimento non bene identificato del polso durante l'effettuazione del servizio che finisce per sortire l'effetto di cui sopra. Ho risolto impugnando Eastern di dritto sulla prima di servizio trovando ottima potenza ed aces a patto di focalizzare bene la pronazione del polso al momento dell'impatto. Uso la Continental sulla seconda perchè lì sì che mi serve lo spin;
*sul dritto salvo rarissimi casi tendo a "trascinarmi in avanti" la gamba dx durante il movimento. Quando ho capito che tenerla ferma mi costava molto salato in termini di performance del colpo (che era davvero povera) ho realizzato che quel che mi serviva era un sistema per trovare il controllo necessario del colpo, anche e soprattutto quando picchio, che esulasse da tale problema. L'ho trovato uncinando ossessivamente il finale costringendomi a colpire sempre, comunque, no matter what il retro del lato sx del mio trapezio con la testa della racchetta ad ogni dritto che faccio sia esso il primo colpo del riscaldamento magari fatto da metà campo che un passante sul matchpoint. Questo movimento è diventato uno dei capisaldi del mio dritto e quindi del mio gioco;
*sempre sul dritto ho passato mesi a cercare un'apertura "standard" da ripetere fino allo sfinimento senza riuscire a trovarla. O meglio, ne adottavo una e di tanto in tanto perdevo timing e dritto al che ne adottavo un'altra finchè non succedeva la stessa cosa e così via. Al che una sera mi sono detto "ma se invece di adottare un'apertura "preconfezionata", ovvero tecnicamente perfetta ma dalla rigida osservanza, adottassi l'apertura che "sento più naturalmente di fare"? Beh, è stato il classico uovo di Colombo: ora sul dritto "apro" senza pensare alla posa da adottare, apro e basta generalmente in modo generoso con (ma lo "sento", non mi impongo di farlo) il polso "aperto" e la testa della racchetta alta. Beh, questa trovata assieme alla cosiddetta "uncinatura" della quale parlavo sopra non solo ha sistemato il mio dritto facendone la pietra angolare del mio gioco assieme al servizio ma mi ha fatto e mi fa risparmiare parecchie energie, fisiche e mentali, rispetto a quelle che spendevo prima nell'esecuzione di un dritto molto ma molto meno performante;
*sul rovescio altra esperienza interessante. Ad una mano nella mia prima vita tennistica, ma estremamente falloso. Bimane nella seconda vita tennistica, meno falloso ma decisamente non istintivo. Il mio istinto sul rovescio è giocarlo ad una mano in back, ci posso girare attorno quanto voglio ma la realtà è quella. Al che il problema principale diventa la solidità su quel colpo quando arrivano colpi carichi di peso e di spin da quella parte (se c'è spin e basta nel senso poca velocità di palla ho tutto il tempo di "pensare" per quelle frazioni di secondo necessarie per giocarlo bimane in quanto "avere il tempo di pensare" in genere significa "esulare dall'istinto" ovvero dal giocarlo in back). A mio parere c'è un solo modo per riuscirvi e benedetto Zen&Tennis in tal senso: guardare sempre, solo, esclusivamente ed ossessivamente la palla. Io ad esempio mi sono accorto che la guardavo prevalentemente quando era dalla mia parte di campo "perdendomi" un pò quando era dall'altra parte. Da quando la guardo sempre, quasi in modo ipnotico, è successa una cosa davvero strana ma benvenuta: ho trovato il tempo per oppormi degnamente ai colpi carichi di velocità e spin contrapponendo loro il back di rovescio che da colpo di difesa, a volte disperata, è così diventato un tatticamente importante colpo di palleggio in quelle circostanze permettendomi l'importante recupero del centro del campo e quindi la "parità" dell'equilibrio dello scambio. In sintesi il senso della mia esperienza è che se si guarda sempre per davvero la palla si può essere solidi in palleggio col rovescio in back anche se pressati da palle profonde, veloci ed arrotate. L'espediente di Zen&Tennis, peraltro ovviamente fondamentale anche su dritto e servizio, mi è servito a sdoganare quello che è il colpo a me più naturale/congeniale sul rovescio ovvero il back;
Ovviamente son considerazioni da giocatore di quarta categoria, per giunta quarantenne. Ma mi sembrava interessante condividerle con tutti in quanto a mio parere dal lato "allenatori" c'è quasi sempre lo "stato dell'arte" della tecnica (e ci mancherebbe altro) ma praticamente mai lo studio di come adattarla sui movimenti naturali di chi pratica tennis come loro allievo.
Ed Osho insegna che per scendere dal letto non pensiamo affatto, scendiamo e basta
Ciao a tutti!