Progetto campi veloci. A che punto siamo?
aggiornamento da TWI (n.d.r.) - 9 agosto 2011
La Federazione Italiana Tennis ha deciso, qualche tempo fa (maggio 2010), di lanciare l'iniziativa "Campi Veloci". La base è frutto di una analisi relativa al circuito maggiore del tennis: solo il 27% dei punti nasce dalla terra rossa, ma nonostante ciò quasi tutti i nostri giocatori costruiscono la loro classifica puntando su questa superficie in maniera quasi esclusiva. L'esempio, neanche a farlo apposta, nasce dalla Spagna, dove in 10 anni sono sorti 7mila campi veloci, sette volte più di quelli italiani.
Con tale progetto si punta quindi a favorire la creazione di tali campi, puntando su una via preferenziale per i future, concessa ai circoli dotati di tali campi; sul marketing, e accordi che porteranno a sconti fino al 20% per la loro costruzione; sulla diffusione di nuove ricerche, che confermano come non necessariamente giocare sul duro accorci la vita agonistica.
Che sia la fine della tradizione terraiola azzurra?
Filippo Volandri, forse il nostro migliore rappresentante negli ultimi anni (quarto turno al Roland Garros 2007, semifinale a Roma nel 2007, oltre ad altri importanti piazzamenti, tutti sul rosso) non ha troppi dubbi, come ci ha confessato recentemente: "Non credo ci riusciremo mai, staccarsi da questa superficie vorrebbe dire dimenticare una nostra tradizione. Anche negli USA iniziano a far giocare i ragazzini sul rosso, segno che comunque questa impostazione non è sbagliata. Comunque la FIT fa bene ad insistere, il 70% dei punti si gioca sul veloce, crescere sul duro farebbe bene a tutto il movimento".
Fabio Fognini, eroe del recente Roland Garros con i quarti di finale conquistati, elogia invece la campagna: "E' un'ottima iniziativa, sono d'accordissimo con questa scelta. In Italia il peso della tradizione terraiola è ancora molto elevato: credo che se fossi nato negli USA, per esempio, forse avrei privilegiato molto di più i tornei sul cemento!".
Uno che invece in carriera ha giocato molto bene sul veloce, oltre che sulla terra, è Daniele Bracciali, che ci rivela quale per lui è il problema di fondo: "Nei circoli i soci preferiscono giocare sulla terra rossa, per ragioni legate alla minore probabilità di traumi articolari. Un campo in cemento dovrebbe essere costruito ex novo, invece che al posto di uno in terra rossa, come ora accade. Perciò si incontrano resistenze molto forti nei circoli. Sarebbe sicuramente un vantaggio per il movimento tutto lavorare sin da giovani sul cemento e sui campi veloci, anche perché buona parte dei punti ATP si conquista là".
A giudicare però dai pareri dei medici, le nuove tecnologie fanno sì che non sia più tanto vero che giocare sul duro arrechi danni concreti alle articolazioni dei giocatori.
Nel giro di 1 anno, la situazione in Italia è migliorata leggermente, ma comunque lontani dalla situazione degli altri paesi:
Germania: campi 48.000 di cui in veloce 10.000 (21%);
Francia: campi 33.000 di cui in veloce 15.000 (45%)
Spagna: campi 18.000 di cui in veloce 7.000 (39%)
Italia: campi 10.000 di cui in veloce circa 1.120 (11,2%).
In 12 mesi, sono stati costruiti 120 campi in Play-It, Greenset o in Mantoflex (le superfici più usate), sommati ai circa 1.000 già esistenti.
Mentre la campagna continua, tra mille difficoltà e con risultati ancora non così rilevanti, rimane ancora aperto il dibattito tra appassionati e addetti ai lavori: ha senso impostare la crescita di un giocatore sul duro, o meglio continuare nel solco della tradizione della terra rossa?