Filosofi, mistici, pellegrini e scienziati si sono scontrati per secoli e millenni in merito all'esistenza di Dio, cercando una prova tangibile e definitiva della Sua Presenza. Le prove non mentono, come ben sa Gil Grissom. E se per Dio il dibattito resta aperto, non così per la tesi del Vassallaggio Tennistico. Oggi si è chiusa la discussione, per sempre. Ovviamente ci saranno ancora i confutatori, i negazionisti federasti, pronti a negare l'evidenza per timore che il Re non abbia abbastanza riflettori. Ma il discorso è chiuso: oggi si è avuta la prova tangibile, inequivocabile e finale, dell'esistenza del vassallaggio. Chiamatela, se volete, Diciannovesima Rivelazione di Andy. Era la fine del secondo set. Andy Roddick stava giocando il suo tennis migliore di sempre, che restava brutto ma denotava comunque una innegabile volontà a migliorarsi: nel rovescio rachitico, nel gioco di volo futurista, in una tattica che quel gran genio di Larry Stepfanki non poteva non elevare (peggiorare era difficile). Roddick era avanti 7-5 e soprattutto 6-2 nel tie del secondo set. Con servizio a disposizione. Fino a quel momento aveva sempre messo la prima e salvato con agio le sparute palle break (nel primo set). 6-2 al tie. Quattro set point. Consecutivi. Per onestà intellettuale, devo qui premettere che a mio avviso Federer avrebbe comunque vinto, anche se sotto di due set. Aggiungendo pure che, per quanto al suo "massimo", l'idea di Roddick che vince Wimbledon continuava a suonarmi raggelante. Ciò nonostante, Roddick è lì e ha quattro set point. Serve e ovviamente non gli entra la prima. Il vassallaggio, fin lì latente, sta esplodendo in un parossimo di pavidità. Attenti, non distraetevi, la prova è qui: ci siamo. Sta apparendo il Dio dei Vassalli. In questo momento Wimbledon vale Lourdes, vale Fatima. Prendete appunti, registrate: qui si fa la storia. O anche solo la schiavitù. Roddick può attaccare, non lo fa, sparacchia un dritto su cui Federer - più per frustrazione che per convinzione - inventa un delizioso rovescio in controtempo, incrociato, fatale: 6-3. Ora serve Federer, e sono due punti inutili. Sai già che Frigo sventrerà la suspence con le sueprime algide e sadiche. E infatti: 6-5. Ma il capolavoro è adesso. La prova definitiva del vassallaggio è ora. La vedete? Sì, è lei. E' l'Apparizione. E' la Prova Definitiva. Roddick non mette la prima (eddai). In qualche modo riesce a girare dalla sua parte lo scambio, guadagna la rete attaccando sul dritto di Federer. Lo svizzero prova un passante lungolinea, che rimane alto. Roddick ha campo aperto e una volèe di rovescio praticamente elementare. Edberg l'avrebbe fatta a occhi chiusi, Rafter fischiettando. Roddick non è né l'uno né l'altro, ma è un colpo facile persino per lui. Ma un Vassallo è per sempre. Un servo non sarà mai Padrone. Un perdente non sarà mai Vincitore (se non in tempi di interregno). Si palesava così una delle scene più deprimenti, meste e imbarazzanti nell'intera storia del tennis. Roddick, di colpo, come se appesantito dal suo ruolo, si ingobbiva orrendamente in area. Si scomponeva, diventando come un agglomerato di antiestetica. Arrivava all'impatto con l'eleganza di un muflone. Nell'aere, creava una mostruosità acrobatica che pareva una volèe ruminante, uno schiaffone bovino. Qualcosa di inespresso, cacofonico, belluino. Uno strazio. La sua "volèe" spiccava il volo e finiva tra le tribune, fuori di otto metri. Il più grande inginocchiamento della Tribù dei Vassalli. Molto di simile si era visto, ma nulla di così esplicito, ostentato, plateale. Nemmeno lo Smash-Scimpanzè, fuori di sette metri, con cui sempre Roddick buttò via un match point ancora con Federer al Masters di tre anni fa. Roddick si inchinava al Re, tra l'ilarità della folla. Metteva, forse per la prima volta, tenerezza. Kunta Kinte non aveva spezzato le catene, ridando le chiavi al Padrone. Il match era finito. E con esso le stanche negazioni dei federasti in merito al vassallaggio.
Ciò detto, e ribadito, va dato atto a Roddick di essersi martirizzato con quel suo solito eroismo arruffato. Di solito, dopo l'inchino, i vassalli escono definitivamente dal campo. Roddick, no. Ha fatto come San Sebastiano. Prima una freccia, poi un'altra. Straziante. Fossi suo tifoso, e sì che non lo sono, sarei alfine (cit) inconsolabile. Il povero A-Rod, con la sua visiera gocciolante e i suoi tic yankee, dava sentore di crederci. Si abbarbicava alla zattera, fingeva di non conoscere il suo ruolo di pretoriano medagliato. Non abbandonava la nave, inseguiva il dolce sguardo della moglie, sperava nell'abracadabra di Stefanki. Davvero: era tenerissimo. E sbuffava, inseguiva, randellava. Perfino qualche demi-volèe indovinata (uh). E grandini di aces. La sua firza bruta, appena smussata, non sfigurava accanto alla perfezione robotica del Perfettissimo. Roddick ha perso con quella volèe ruminante. Le tre ore successive sono state inutili. Hanno fatto solo arredo. Verranno derubricate alla categoria "eroica sconfitta", qualcosa di buono per dare la sensazione che un'opposizione esiste (sì, come in politica). Nella realtà, Roddick ha solo voluto emulare il martiriato Chuck Wepner, re dei pugili bastonati: ha unicamente inteso issarsi alla quindicesima ripresa. Ha così perso (ancora al tie...) il terzo, per poi vincere 6-3 il quarto, recuperando da 0-30 nel nono game. Il quinto set era scritto. Un solo break, e non sarebbe certo stato suo. Il tutto condito dai rimpianti, tanto per non indorare la pillola. Roddick ha annullato una palla break, poi ne ha avute due ma - ovviamente - il Re le ha stizzosamente annullate due servizi vincenti. Ancora qualche minuto, ancora qualche aces, ancora qualche game tirati avanti più per tigna che per grazia. Era tutto inutile (e pure un po' palloso). Quindi, puntuale, il break di Federer. In un game in cui Roddick era avanti 40-15 e ha avuto tre palle per il 15-15. Game over, il palmare della pingue Vavrinec in festa e la moglie di Andy che già sa quanto stavolta la ferità dell'amato risulterà insanabile.
Onore a Roddick, vassallo dentro e sbruffone fuori, che dopo questa batosta verrà ahilui rottamato in qualche scantinato di Freud. Quanto a Federer, lodi e peana. Definitivamente schumacheriano, totalitario e imperturbabile nel correre da solo. Quindicesimo slam, record su record e tanti altri vassalli da spennare. Direte: ma lui che colpa ha? Nessuna, al di là di quella stitica frigidità passionale. Non è certo colpa sua se è troppo più forte degli altri, né - più ancora - se gli altri si accontentano di esserci. Preferendo, al morso, un imprecisato quanto sterile abbaiare. Senza mai smettere di scodinzolare al Padrone.
Federer come Karlovic (e le lacrime di A-Rod)
di Federico FerreroÈ mattina e mi sono appena svegliato. Connetto, mi ricordo chi sono e dove sono. Poi che Roddick ha battuto Federer ed è il nuovo campione di Wimbledon. Per sicurezza, alzo le lenzuola e guardo che non mi siano spuntate le pinne al posto dei piedi. Ecco, pensavo a qualcosa del genere dopo un’oretta di partita. Che stessi assistendo a qualcosa di improbabilissimo, perché Roddick stava giocando meglio di Federer, e che in qualche modo il mondo ci si sarebbe dovuti scusare tutti quanti per aver trattato Andy come accadde a Chris Lewis nel 1983 e a MaliVai Washington nel 1996: due turisti in finale. Mi son detto: boia, oggi Roger perde. E niente Law&Order. Non ho voglia di farvi l’autopsia del match. Però quel primo set era il classico parziale che Federer vince 7-5, con due stupidaggini dell’altro nei momenti chiave. Poi la partita va da sé a destinazione. Invece è andata esattamente al contrario: le occasioni le ha sprecate lui e il set l’ha regalato lui. Il tie-break del secondo? Decisivo, sì, chissà. Sul 6-2 A-Rod ha tremato, per l’unica volta nel match, e tanto è bastato. Quando sei troppo abituato a perdere, quando sei lì per andare due set a zero contro Federer in finale a Wimbledon devi avere qualche ricordo positivo. Andy non ne ha: solo botte, ha rimediato da Roger. Ecco perché è arrivata quella volée agricola, un gesto che più lo riguardavo e più mi pareva quello di chi non osa prendersi quello che gli spetta, tanto è abituato ad alzare il coperchio e a trovarci la fregatura. Resta l’inutile consolazione del dubbio: anche sotto di due set Federer avrebbe continuato a pensare di poter vincere, e chissà se Roddick avrebbe retto il peso di dover, a quel punto, a tutti i costi vincere. Non ne sono certo, sapete. Nel quinto set, invece, quello reale, poteva capitare di tutto. Andy non ha avuto paura, l’altro neanche: due stecche nel gioco finale, due risposte tenute dentro e la partita è finita. Poteva capitare a entrambi, è successo a Roddick. Alla fine A-Rod voleva piangere e lo ha fatto, statene certi, appena gli è riuscito di assicurarsi che nessuno lo potesse riprendere. Durante la premiazione Federer, che oggi ha servito come Karlovic (caterve di servizi vincenti e 50 ace) poteva trovare una frase migliore di quella riservata a uno straccio d’uomo che lo guardava con gli occhi umidi. Gli ha detto che sa come ci si sente, che l’anno scorso era toccato a lui perdere 9-7 al quinto. “Sì, però tu hai vinto cinque volte”, ha replicato Roddick col pomo d’Adamo in fibrillazione. Non l’hanno sentito in tanti: bella risposta, una delle migliori del match. Certo che cinque contro zero, che zero resteranno, fa una certa differenza. Peccato, Andy: oggi il tuo country tennis meritava Wimbledon. Anche il tuo ex coach Connors con Borg, qui sui prati, lottava con la bava alla bocca ma finiva sempre steso. Lo rincorrerai anche tu fino all’inferno, come disse Jimbo a Bjorn, ma non credo lo troverai: perché oggi è stato un po’ a spasso, ma di solito il tennis di Federer abita qualche piano più in su. E per me niente pinne. |