Copio qualche articolo o frase di Andrea Scanzi. E' irriverente, a qualcuno potrà stare antipatico (troppo ingeneroso a volte, vedi Roddick), ma personalmente appoggio numerose sue opinioni.
Ne copincollo alcune:
Nadal, Federer, Djokovic, Murray: i vincenti sono loro. Per gli altri solo briciole.
Ma lo spettacolo sta altrove.
Rafael Nadal, Spagna. L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma (dei quattro) il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. Nadal è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto. Inquietante nel suo rosario illimitato di tic (da compulsivo ossessivo vero), sgradevole nei rituali snervanti pre-servizio (smutandata compresa: davvero tamarra). Fino a due anni fa era il più grande specialista della terra rossa, ora un campione a tutto tondo. Tra i più grandi di sempre. Ma il fisico, ginocchia e non solo, comincia a scricchiolare. E non si capisce quanto tale strapotere fisico potrà durare: quel tanto che basta per rintuzzare definitivamente i colpi di coda del Dittatore, se possibile.
Roger Federer, Svizzera. Ah, quanto è stato lungo, mellifluo e - in buona sostanza - palloso il suo quinquennio (o giù di lì) dittatoriale. Neanche un piano sequenza di mezzora di Abbas Kiarostami avrebbe devastato così in profondità gli zebedei di tutti coloro che non si chiamano Mirka Vavrinec e non appartengono alla tribù fondamentalista dei Federasti Piangenti. Dalla fine del 2003 alla metà del 2008, fatto salvo Nadal e un Safin occasionale, giornali e tivù erano un coro unanime di peana politicamente corretti: Quanto è bello Federer, quanto è bravo, quanto è garbato, quanto è imbattibile. "Il più grande di sempre", bla bla bla. L'opposizione era negata, gli avversari non esistevano. Solo vassalli. Il trionfo della sudditanza psicologica, l'incubo del one man show. Leggevi Tennis Italiano e ti beccavi 87 pagine di Laudi incensanti. Accendevi la tivù e ti beccavi Federer che benediceva la plebe, indossava la giacchina della comunione a Wimbledon e faceva una carezza tenera al vassallo per il servilismo dimostrato. Una Dittatura cupa, all'apparenza garbata ma in realtà assolutista. Priva della benché minima pietà. Chiaro che Federer si divertiva, come accade allo zio che gioca a tressette col nipote di due anni e vince sempre: capita così quando giochi da solo. Ma almeno, col nipote, non hai attorno il pubblico che chiede pathos. Federer, coi suoi modi gentili fuori e sadici dentro (nessuno come lui, negli anni, ha amato minare dalle fondamenta la psiche dei servitori, irridendoli con messe di 6-0), stava ammazzando il tennis. Peggio: lo stava addormentando. La noia imperava, non vi era suspence, non vi era stupore, non vi era sorpresa. Solo un assolo sempiterno del primo della classe, ogni tanto accipigliato perché il maestro (Rod Laver?) gli aveva dato 7 e non 9.5. Davvero agghiacciante, quel tempo. E quella inumana corsa al record, quel feticismo da vittoria, quel desiderio inaccettabile di negare la propria umanità. Poi è arrivato Nadal, e il tennis si è liberato del Despotismo Vegano. Da allora Federer vive l'autunno del patriarca, continua a vincere ma sempre meno. E i Federasti, i più permalosi del microcosmo tennistico, mugugnano lividi e inconsolabili, come tutti i pretoriani quando la statua del Dittatore cade e non c'è nemmeno una straccio di Repubblica di Salò (o di Basilea) a cui aggrapparsi. Imprecano. Insultano. Straparlano di "morte del tennis", non sapendo che fino ad oggi il "becchino" elegantemente vestito era stato proprio Indesit The King. Ma a soffrire più di tutti è lui, è Federer, che interiorizza il Golgota freudianamente (parola che non conosce, come non conosce Freud). Si picca, come i bambini a cui hanno tolto il giocattolo. Frigna dopo le sconfitte, manco fosse all'asilo. Si aggrappa a un doppio olimpico per questuare un trionfo. Ieri faceva ace nelle palle break, ora doppio fallo. Barcolla, si nasconde per mesi, persegue il suo lamento (ma guai a chiedere aiuto, a cercare un allenatore, a cambiare tattica: la sua somma presunzione non glielo permette, significherebbe ammettere di essere fallibile). Federer preferisce "indossare" la griccina permalosa, il labbrino con gli occhi lucidi: uno spettacolo tragicomico, nel suo genere. Come è tragicomico quel suo litigare con Hawk Eye, Occhio di Falco, la moviola in campo: un robot che litiga con un computer, neanche Isaac Asimov era mai arrivato a tanto. Nelle conferenze stampa, Rogi nega ostinatamente di essere diventato (con merito) il numero due del mondo. Per forza: il suo hardware non contempla la sconfitta, il suo software non era programmato per lottare ma per Dominare. Per lui la sconfitta è dramma esistenziale: dolore che non può avere lenimento. Federer è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. E' però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal. Se Federer fosse un telegiornale, sarebbe il Tg1. Se fosse un vino, sarebbe un Supertuscan. Se fosse un film, sarebbe una scena tagliata di Michelangelo Antonioni. Se fosse una pietanza, sarebbe un brodino.
Se fosse un uomo, faticherebbe ad essere Federer.
Novak Djokovic, Serbia. C'è una storiella, quella del Tiranno di Siracusa, il cui sottotesto è: si stava meglio quando si stava peggio. Cioè rimpiangeremo persino il Dittatore di prima, perché questo è pure peggio. Cioè arriveremo al punto da richiedere indietro Veltroni, perché Franceschini non si può votare. Ed eccoci, ordunque: Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. E' un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. Djokovic, no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo Lendl, e già questo basterebbe a detestarlo (anche se perfino Lendl aveva i suoi tifosi, persone che come gli astemi hanno qualcosa da nascondere). Però Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang. Lendl si presentava senza mediazioni, Djokovic no. Lui è berlusconiano, in questo. Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. E' l'uomo dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. E' sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo. Una prassi, questa, così oliata che quando sta male sul serio - ad esempio agli ultimi Australian Open - all'inizio non ci crede quasi nessuno (Sindrome Al Lupo Al Lupo). Djokovic è pienamente Lendovic nella bramosia di vittoria. In campo lo vedi respirare affannosamente, sembra dover svenire da un momento all'altro, lo sguardo basso, la prossemica pienamente chiagnefottista. Ogni tanto si lamenta perché l'altro osa tirare un gran colpo (come Federer, concepisce la bravura altrui una sorta di onta inaccettabile). Però è sempre lì, Novak (per gli adepti Nole). E così a un certo punto lo vedrai esultare ed esaltarsi con ferocia sadica. Gli occhi iniettati di sangue, le grida belluine, il braccio che va a toccarsi marzialmente il cuore. Neanche Napoleone durante la Campagna d'Egitto esultava così. Djokovic è ducesco financo nell'estasi: il mento sporgente, l'aria dittatoriale, lo sguardo trasfigurato dalla sete di potere. Come se fosse perennemente affacciato a Piazza Venezia. Lui non intende vincere: desidera devastare. Questo trionfo di amabilità è ulteriormente riverberato dai 78 rimbalzi pre-servizio, dal suo spulciarsi qua e là (appunto, come Lendl) e dall'allegra famigliola al seguito: mamma, papà, fratelli. Tutti bellamente urlanti, sobriamente vestiti, gradevolmente voraci. Lendovic ha vinto il suo primo (e sin qui unico) Slam a Melbourne nel 2008, poi ha alternato grandi cose (Masters, Master Series) a lunghe letargie.
Epperò rassegnatevi: non ricrescerà l'erba dopo il suo cammino.
Andy Murray, Scozia. Qui la vicenda è più complessa. Sono stato uno dei primi a parlarne bene in Italia, nel 2005 mi lanciai in un suo sperticato elogio dopo averlo visto smunto e oltremodo approssimativo al Queens. Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi - dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. E' lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche. Per molti, me compreso, il crinale tra il seguirlo e il detestarlo (sportivamentte eh, che solo di tennis discorriamo) è stato l'ultimo Wimbledon. Per due set fu zimbellato da Gasquet, un bellissimo Gasquet, che nel terzo servì per il match. Lì, ovviamente, implose. Da quel momento Murray impersonò come nessun altro Satana. Il Centrale divenne un'arena. Murray era il gladiatore e Gasquet null'altro che carne da macello. Il pubblico decretava la morte sportiva del liberto francese, Murray sguazzava (metaforicamente) nel sangue e ne godeva. Fu uno spettacolo raccapricciante, crudelissimo. Martirio vero. La morte definitiva di una meteora (Gasquet) e la nascita definitiva del Vampiro Carnivoro. L'ultima istantanea, grandguignolesca, fu Murray, il bianchiccio Murray, che mostrò al volgo (e alla madre non meno esagitata) il suo bicipite trionfante. Un bicipite per nulla sviluppato, rachitico, eppure ferale nella sua bieca normalità. Raramente ho assistito a cotanto calvario, neanche l'ultimo Muhammad Ali scontò così tanto la pena con Larry Holmes. Da allora mi è impossibile tifare anche solo minimamente per il Vampiro Hooligan. Ma gli riconosco due (grandi) meriti: saper giocare a tennis e non inseguire affatto il politicamente corretto. Murray si presenta per quello che è, senza sovrastrutture buoniste o paraculusche. E' cattivo e lo sa.
A differenza di due suoi altolocati colleghi.
I 10 tennisti da perdere:
1. Nikolay Davydenko, Russia. Non ha un pregio: brutto, triste, noioso e pure in odor di scommesse. Il suo gioco è un metronomo catacombale, i lineamenti ricordano il normotipo Stasi, il carisma è quello di un fagiolo lesso. Una delle più grandi sciagure estetiche mai abbattutesi sul tennis. E' dato in crisi da anni, ma alla fine sta sempre nei dieci (per demeriti altrui). Per i (pochissimi) esegeti ricorda Andreino Agassi, un po' come dire che Veltroni ricordava Obama.
Più che un tennista, il castigo postumo dei Soviet.
2. Andy Roddick, Stati Uniti. Un Karlovic evoluto, ma neanche troppo. Ha due cose: servizio e dritto (entrambi in fase discendente, per fortuna). Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così).
Malissimo.
3. Stanislas Wawrinka, Svizzera. Non è antipatico: è oltre. L'antipatia avrebbe anche le sue doti, Radek Stepanek e Robin Soderling sono lì a dimostrarlo. L'elegante (de che?) Stan avrebbe financo un rovescio a una mano di pregio, ma tutto è in lui respingente, a partire da quella pelle devastata da un'acne giovanile verosimilmente virulenta. Scorretto se ce n'è uno, rissoso, arrogante. Capace di scimmiottare Flavio Cipolla agli Us Open simulandone la zoppia (da stanchezza) per mandarlo fuori giri (quella volta ci riuscì; quella dopo, no). Trasversalmente odiato. Con Federer ha vinto l'epocale medaglia olimpica in doppio, festeggiata come neanche il Guiness dei Primati della mosca cieca. E' stato nei dieci: la speranza è che non ci torni. Cataclismatico.
4. Gilles Simon, Francia. Era un tempo grigio, triste, tetro. La Dittatura Vegana del Re Frigidaire imperava, credevamo tutti di avere avuto abbastanza dolori. Poi, a ricordarci che abbiamo molte colpe pregresse, è spuntato questo ferale morfing tra Sbirulino e gli occhi iniettati di sangue di Jack Torrance. Una sorta di Wilander fuori tempo massimo.
Sciagura.
5. Rainer Schuettler, Germania. Dico lui (se non altro è prossimo al ritiro: vamos) per alludere a tutti gli schuettleriani, ovvero i plumbei mediani dell'Atp, da Juan Ignacio Chela (aaaaaahhhh) ad Andreas Seppi (di cui discorrerò amabilmente nel capitolo Italiani). Già sento dire: Eh, ma è un esempio, si è fatto da sé, non ha talento ma ha saputo farsi valere. La classe operaia va in paradiso, bla bla bla. Già, ma io in questi casi vado a vedermi un film di Elio Petri o Ken Loach, mica una partita di tennis. Gli schuettleriani sono la kryptonite dell'estetica, ogni loro sconfitta è balsamo per l'umanità.
6. David Ferrer, Spagna. Eccolo, uno di quegli spagnoli che fanno (quasi) rimpiangere i Berasategui. Volitivo, tignoso, ripetitivo, Duracell: inguardabile. Il Pasquale Bruno del tennis. E' stato 4 al mondo e ha fatto una finale al Masters, dati che da soli bastano a dare la misura della (gelida) temperatura tennistica.
7. Tommy Robredo, Spagna. Piccola variazione sul medesimo tema di cui sopra: Dramma estetico. Gli italianisti prendono a esempio lui (o simili) per dire che "Se ce l'ha fatta Robredo, allora anche Volandri o Seppi possono andare nei 1o". Che potrebbe anche essere vero, ma non è mica una bella notizia. Come dire (avvertenza didascalica per i politicamente corretti:,sto per fare uso di iperbole) che se le Maldive hanno avuto uno tsunami, forse c'è speranza pure per noi: e che, c'è da esultare? C'è da essere felici? C'è da goderne? No, c'è solo da piangere. Robredo è l'impiegato per antonomasia, quello che suda e sgobba, che non si arrende, ma non crea mai. L'unico suo dato fantasioso è il nome di battesimo, ispirato dagli Who. Chissà come ci saranno rimasti male, papà e mamma Robredo, nel vedere come il loro presunto rocker abbia al massimo l'iconoclastia di Pupo.
8. Mario Ancic, Croazia. Ah, la sopravvalutazione. Bastò una semifinale nel 2002 (battendo un Federer non ancora robotico) per far dire ai più che "è nato il nuovo Ivanisevic". Sì, buonanotte. Un Ljubicic, sempre per citare i croati, ha fatto molto di più e non aveva gioco di volo, servizio e rovescio inferiori, ma Ljubo era brutto: invece Ancic è caruccio. Pure troppo caruccio, forse, visto che per molti i suoi guai fisici sono figli, oltre che della sfiga e dell'intemperanza (fare jetski non è il massimo come programmazione), della sua fervente attività ormonale - da cui sarebbe dipesa, secondo i rumours più cattivi, la lunga mononucleosi che lo ha debilitato. Ancic non è mai stato un campione e neanche ha mai fatto un vero e proprio serve and volley. Come se non bastasse, da tre anni si è inchiavardato da fondo, Indesit figlio di un Dio minore, denotando l'agilità di un dromedario con le infradito e l'acume tattico di Tursunov (un altro che in questa flop ten ci starebbe bene). Sopravvalutato e ormai definitivamente bruttino.
Un Pinolo Croato del tutto pleonastico.
9. Tomas Berdych, Repubblica Ceca. Lo Sparapalle Efebico. Un altro sopravvalutatissimo. Fumoso di lusso. Almeno fino a qualche anno fa era solito recitare il ruolo del pesce pulitore, eliminando sul veloce i vari Nadal. Adesso, neanche quello. Molti gli accreditavano doti inusitate, da salvatore della patria. Come no. Di fatto è una macchina sparapalle, scarsamente pensante in campo, per nulla carismatica, oltremodo ripetitiva. Gatto di marmo quanto a mobilità, bella copia (va be') del suo italico epigono, Simone Bolelli, che ne condivide il gusto per il colpo pulito (bene) e movenze da bradipo (male).
10. Gael Monfils, Francia. Chiariamo: il punto non è che sia un mancato rapper, inutilmente esagitato e addobbato come un marito daltonico di Rhianna. Il tennis è anche carisma, scontro di stili, lotta passionale. Non è una sfilata algida di moda come vorrebbe Federer, una Messa Laica officiata dai fondamentalisti federeriani, tra una giacchina bianca d'antan a Wimbledon e una frignatina liberatoria a Melbourne. Quindi La Monf andrebbe pure bene. Il problema è che, come gioco, il Gaelico è inaccettabile. Corre e colpisce otto metri lontano dalla riga di fondo, rematore di teloni come neanche Alessio Di Mauro. Mano discretamente quadra, un incrocio tra un Roddick inutilmente estroverso e un Chesnokov curiosamente di colore. La sua cavalcata trionfale (sic) all'ultimo Roland Garros è stata un drammatico dispensare di incubi estetici (con Horna, con Ljubicic, con chiunque). Ora sta un po' migliorando, ma peggiorare era difficile. Monfils vince il fotofinish della decima posizione in questa flop ten sul connazionale Paul-Henri Mathieu, fantozziano choker (perdentissimo) del circuito. Il fatto che Monfils e Simon siano nella top ten (vera), o nei pressi di essa, e un Gasquet no, dimostrano che a) la Francia è l'esempio da seguire, b) Gli Dèi del tennis sono adirati con l'umanità, c) Gasquet ha colpe imperdonabili.
Su Fabio Fognini: Il mio punto di vista su Fognini è esattamente quello che avevo 4 anni fa e sei mesi fa, ovverosia lo ritengo un buonissimo giocatore, non un campionissimo. Credo che quest’anno se si fosse applicato di più specialmente nella stagione su terra, sarebbe potuto entrare tra i primi dieci perché c’erano congiunzioni astrali favorevolissime. Ha perso un treno importante, mi viene in mente la partita buttata vergognosamente contro Monfils a Parigi, e non so se ne passerà un altro, mi auguro di sì. Io non sono un fogniniano, né tantomeno uno che tifa in relazione al paese di provenienza, ma Fabio è un giocatore che io salvo sempre perché il tennis non è un presepe e questa storia che un tennista deve essere per forza di cose educato non mi piace. Il tennis è sempre stato caratterizzato da genio e sregolatezza, il tennis è pieno di personaggi maleducati e ne ha bisogno perché non possono essere tutti come Federer. Lo salvo anche per un’altra motivazione: a me Fognini diverte, se invece vedo giocare Robredo o Ferrer mi rompo le palle. Mi diverte perché ha un tennis frizzante, perché ha degli atteggiamenti goliardici, mi diverte anche quando perde la brocca. Fognini è uno che, nel bene o nel male, ti dà emozioni. Certo è che se come l’ultima parte del 2014 sei solo sregolatezza senza genio, allora questo non è più perdonabile. Per certi versi, purtroppo, sta seguendo la parabola di Balotelli. Il confine tra essere maledetti (in senso positivo) ed essere nichilisti è molto labile.
Su Tommy Haas:
- Uno che non ha mai avuto abbastanza applausi, men che meno fortuna. Rotto, sfibrato, incazzoso. Pure antipatico. Nei forum più surreali, qualche esperto di ramino l'ha definito "Il peggior numero 2 nella storia del tennis". Quante se ne sono lette, sentite, viste. Blasfemie inaccettabili.
Su Tsonga:
- Dritto che è maglio, servizio che è devastazione, gioco di volo e copertura come ce ne sono (oggi) pochi. Ganci e uppercut come se piovesse. Ha una mano, parafrasando Mario Brega, che può essere piuma o ferro. Fluttua come una farfalla e punge come un'ape (anche se a volte fluttua come un pachiderma e punge come un calabrone). Ogni suo match è spettacolo nello spettacolo. E quella somiglianza impressionante con The Greatest lo rende ancora più irrinunciabile.
- Il Muhammad Ali del tennis. Il Salvatore. Cassius Jo. Nell'era buonista dell'Atp, nel presepe del politicamente corretto, Egli è gioia e beatitudine. La quintessenza del carisma, della passionalità. Inarrivabile quando entra in trance agonistica e trascina sontuosamente la folla. Con lui si torna a Kinshasa, si torna Re.
- Poi lo vidi a Melbourne 2008. Oh, amici miei, se non l'avete visto o non lo ricordate nella semifinale con Nadal, vuol dire che avete sempre fatto l'amore solo su Second Life e ad occhi chiusi. Vuol dire che non sapete niente di tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], quel giorno, fu folgore e tuono, incendiò e devastò, visse e generò redenzione. Uno scintillio di bellezza, di carisma, di veemenza agonistica, come non se ne vedevano da decenni.
Su Murray: Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi – dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. È lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche
Varie (da Wikiquote):
-Ero edberghiano e [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], al tempo, mi appariva come il Nemico. Coscia grosse, mezzo albino, esibizionista: quante volte non ho certo pianto per sue sconfitte. Anche – soprattutto – quando scontò la pena con Michael Stich, l'Ariano odioso e bellissimo. Oggi sono passati gli anni, Becker è uno stanco giocatore di poker, nella vita ha sbagliato quasi tutto e mi accorgo di quanto farebbe bene al circuito.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. È però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], se non altro, era espressione di gran Tennis. Proprio per questo, Federer è doppiamente colpevole. Poteva essere un trascinatore, un iconoclasta, un ribelle indimenticabile. Ha preferito essere un impiegato di talento, un contabile di se stesso. Uno Schumacher con racchetta. Imperdonabile.
- [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] non è una tennista facile. È la sua fortuna e sfortuna. Fortuna, perché gioca un tennis quasi del tutto diverso dalle colleghe. Sfortuna, perché ha carattere poco smussato, non brilla in eleganza, fa poco per apparire simpatica (riuscendoci) e in campo sciorina una carrellata di smorfie scarsamente avvenenti.
- Ho amato McEnroe, Edberg, Cash, Korda, Rafter. Ma Federer non ne è erede. Al massimo è continuazione asettica del dittatore lungolinguato Sampras. Federer piace a chi si accontenta della retorica, delle apparenti buone maniere, dell'approccio finto bipartisan. Piace a chi cita i grandi scrittori (DFW) senza averli letti. Piace a chi ama il progressive, i vini supertuscans. È fortissimo, Federer. E geniale, oltremodo. Chi lo nega? Ma è anche algido, privo di carisma, infantilmente ancorato al feticcio dei record. Non gioca per divertire: gioca per mostrare che ce l'ha più lungo. Il suo non è gesto bianco: è onanismo.
- Il concetto, fascista e meschino, che per dieci anni ha messo in scacco la comunicazione tennistica: la Obbligatorietà di tifare Federer. Per decreto regio, lo si doveva tifare. Perché? Perché Roger (sempre da pronunciare come un'orazione: "R-o-g-e-r") è classico, è marziale, è corretto (quando vince), non sposa le veline (è un pregio?), va a rete (seeeeh: 8 anni fa, forse), piaceva a David Foster Wallace ed è contrario all'occhio di falco (è contrario alla moviola per motivi asimoviani: in quanto robot, non accetta che in campo ce ne sia un altro. È gelosia tra microchip, non fatto etico).
- Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. È un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], e già questo basterebbe a detestarlo.
- [Su Djokovic] Il Lendl di oggi, senza però il coraggio di essere pienamente cattivo. In campo è scorretto, simula infortuni, boccheggia come se vivesse in continua apnea. Poi fa un punto decisivo ed esulta belluinamente, come neanche un ustascia. Cattivissimo. Ma fuori dal campo, no: si presenta come simpatico, imitatore di colleghi, raccontatore di barzellette.
- Io accetto, eccome, che Federer piaccia. È lapalissiano che l'anti-federastismo sia un gioco. Ma non accetto l'obbligo regio di tifarlo. E nemmeno il postulato tonto secondo cui il tennis è "solo" Federer. Roger (anzi: R-o-g-e-r) è un secchione di talento, uno yuppie di successo col complesso edipico della moglie matrona. Federer è il Martone del tennis. E io preferisco gli sfigati. Di talento, di cuore. Ma sfigati.
- L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto.
- Leggo adesso di un [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] involuto da due anni, bruttino e insipiente: l'idea di un peggioramento presuppone però un'antecedente epoca dell'oro, durante la quale Djokovic sciorinava spettacolo e praticava un tennis champagne. Quando, di grazia? Sa dirmi qualcuno quando mai il gioco del Fingitore Fiorelliano è andato oltre un'idea soporifera di Meccano? Quando, per dirla coi filosofi presocratrici, Djokovic è stato meno palloso di adesso? Rispondiamo con certezza iconoclasta: mai. Djokovic è (sempre stato) il più brutto tennista dei Fab Four, noioso e ripetitivo, tignoso e allegramente chiagnefottista.
- Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang.
- [Su Djokovic] ] Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. È l'uomo dei capelli a spazzola tenuti insieme dal Vinavil, dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. È sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo.
- [Su Santoro] Non è sempre stato Mago. A inizio carriera (molto, molto tempo fa) era un pallettaro anonimo. Poi si è messo improvvisamente a giocare a un gioco tutto suo, da quadrumane, dritto e rovescio a due mani e ricami continui. Intortatore sublime, creatore di colpi impensabili.
- [Su Djokovic] Non sono mai stato un suo tifoso: me ne darete atto. Non mi piace né il suo gioco, né quel fare fiorello-paraculeggiante di chi fa il simpatico furbino in favor di telecamera. Situazionista e chiagnefottista, da sempre e per sempre. Però, però. Però quanto avremmo avuto bisogno di gente con questa tigna, questa arroganza, questa tempra, quando Federer e Nadal si spartivano il bottino tra sorrisi melliflui e faide stolte tra fanboys evasi dall'asilo.
- Ogni arte ha bisogno del Male, ogni teatro insegue il Cattivo. Eccolo, al suo massimo "splendore": [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]. Il Tiranno cecoslovacco è stato il Memento Mori del tennis. La quintessenza della cattiveria, del sadismo. Dell'antipatia. Brutto come una scena tagliata di Pino Quartullo (ammesso che ne esistano), soleva farsi il bagno nella segatura e spulciarsi scimmiescamente le sopracciglia prima di servire. Indossava polsini ascellari, il volto era scavato dall'odio, lo sguardo quello di un collezionista di bulbi.
- [Su Wilander] Pallettaro, pallettaro, pallettaro. Lento, soporifero, meditabondo. Tic tac, tic tac, tic tac. Ronf. Un Borg senza Borg. Uccise Leconte a suon di prime palle. Devastò l'estetica lungo tutto l'arco della sua carriera. Sembrava imperturbabile. Poi la vita gli chiese pegno, andò tutto in cortocircuito (come per Borg) e addio.
- [Su Melzer] Uomo dal braccio che non fa sconti e dalla testa troppo spesso in ferie, l'Austriaco è tra i pochi in pieno controllo della situazione a rete. Egli ricama col suo mancino estremo, cesellando stop volley e altri incanti ancestrali.
- Tra i miei rimpianti anagrafici, oltre a non avere avuto il tempo di vedere De André con la Pfm, Gaber in Polli di allevamento e i Led Zeppelin che si trippavano copiosamente in Galles, c'è quello di aver potuto godere soltanto degli scampoli finali di SuperBrat. L'Era del Moccioso l'ho solo studiata nei libri di testo (Tommasi). Il giorno in cui perse a Parigi con Lendl, terrificante Duce Sadico, fu un giorno tragico. L'11 settembre del tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è stato uno dei più grandi geni del Novecento. Quello era tennis.
- Quanto a Federer, lodi e peana. Definitivamente schumacheriano, totalitario e imperturbabile nel correre da solo. Quindicesimo slam, record su record e tanti altri vassalli da spennare. Direte: ma lui che colpa ha? Nessuna, al di là di quella stitica frigidità passionale. Non è certo colpa sua se è troppo più forte degli altri, né – più ancora – se gli altri si accontentano di esserci. Preferendo, al morso, un imprecisato quanto sterile abbaiare. Senza mai smettere di scodinzolare al Padrone.
- [Su Roddick] ] Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così). Malissimo.
- [Su Cash] Quella fascetta a scacchi, quella scalata sulle tribune di Wimbledon. Quel suo modo, tra il playboy e l'ombroso, di sbertucciare il malefico Lendl nella sacra finale erbivora. Serve and volley paradigmatico. Era ancora un tempo in cui gli australiani giocavano così e non come Hewitt. Era buontempo.
- Se mi chiedessero di fare il nome del tennista più sottovalutato del tennis attuale, non avrei dubbi: Ivan Ljubicic.
Ne copincollo alcune:
Nadal, Federer, Djokovic, Murray: i vincenti sono loro. Per gli altri solo briciole.
Ma lo spettacolo sta altrove.
Rafael Nadal, Spagna. L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma (dei quattro) il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. Nadal è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto. Inquietante nel suo rosario illimitato di tic (da compulsivo ossessivo vero), sgradevole nei rituali snervanti pre-servizio (smutandata compresa: davvero tamarra). Fino a due anni fa era il più grande specialista della terra rossa, ora un campione a tutto tondo. Tra i più grandi di sempre. Ma il fisico, ginocchia e non solo, comincia a scricchiolare. E non si capisce quanto tale strapotere fisico potrà durare: quel tanto che basta per rintuzzare definitivamente i colpi di coda del Dittatore, se possibile.
Roger Federer, Svizzera. Ah, quanto è stato lungo, mellifluo e - in buona sostanza - palloso il suo quinquennio (o giù di lì) dittatoriale. Neanche un piano sequenza di mezzora di Abbas Kiarostami avrebbe devastato così in profondità gli zebedei di tutti coloro che non si chiamano Mirka Vavrinec e non appartengono alla tribù fondamentalista dei Federasti Piangenti. Dalla fine del 2003 alla metà del 2008, fatto salvo Nadal e un Safin occasionale, giornali e tivù erano un coro unanime di peana politicamente corretti: Quanto è bello Federer, quanto è bravo, quanto è garbato, quanto è imbattibile. "Il più grande di sempre", bla bla bla. L'opposizione era negata, gli avversari non esistevano. Solo vassalli. Il trionfo della sudditanza psicologica, l'incubo del one man show. Leggevi Tennis Italiano e ti beccavi 87 pagine di Laudi incensanti. Accendevi la tivù e ti beccavi Federer che benediceva la plebe, indossava la giacchina della comunione a Wimbledon e faceva una carezza tenera al vassallo per il servilismo dimostrato. Una Dittatura cupa, all'apparenza garbata ma in realtà assolutista. Priva della benché minima pietà. Chiaro che Federer si divertiva, come accade allo zio che gioca a tressette col nipote di due anni e vince sempre: capita così quando giochi da solo. Ma almeno, col nipote, non hai attorno il pubblico che chiede pathos. Federer, coi suoi modi gentili fuori e sadici dentro (nessuno come lui, negli anni, ha amato minare dalle fondamenta la psiche dei servitori, irridendoli con messe di 6-0), stava ammazzando il tennis. Peggio: lo stava addormentando. La noia imperava, non vi era suspence, non vi era stupore, non vi era sorpresa. Solo un assolo sempiterno del primo della classe, ogni tanto accipigliato perché il maestro (Rod Laver?) gli aveva dato 7 e non 9.5. Davvero agghiacciante, quel tempo. E quella inumana corsa al record, quel feticismo da vittoria, quel desiderio inaccettabile di negare la propria umanità. Poi è arrivato Nadal, e il tennis si è liberato del Despotismo Vegano. Da allora Federer vive l'autunno del patriarca, continua a vincere ma sempre meno. E i Federasti, i più permalosi del microcosmo tennistico, mugugnano lividi e inconsolabili, come tutti i pretoriani quando la statua del Dittatore cade e non c'è nemmeno una straccio di Repubblica di Salò (o di Basilea) a cui aggrapparsi. Imprecano. Insultano. Straparlano di "morte del tennis", non sapendo che fino ad oggi il "becchino" elegantemente vestito era stato proprio Indesit The King. Ma a soffrire più di tutti è lui, è Federer, che interiorizza il Golgota freudianamente (parola che non conosce, come non conosce Freud). Si picca, come i bambini a cui hanno tolto il giocattolo. Frigna dopo le sconfitte, manco fosse all'asilo. Si aggrappa a un doppio olimpico per questuare un trionfo. Ieri faceva ace nelle palle break, ora doppio fallo. Barcolla, si nasconde per mesi, persegue il suo lamento (ma guai a chiedere aiuto, a cercare un allenatore, a cambiare tattica: la sua somma presunzione non glielo permette, significherebbe ammettere di essere fallibile). Federer preferisce "indossare" la griccina permalosa, il labbrino con gli occhi lucidi: uno spettacolo tragicomico, nel suo genere. Come è tragicomico quel suo litigare con Hawk Eye, Occhio di Falco, la moviola in campo: un robot che litiga con un computer, neanche Isaac Asimov era mai arrivato a tanto. Nelle conferenze stampa, Rogi nega ostinatamente di essere diventato (con merito) il numero due del mondo. Per forza: il suo hardware non contempla la sconfitta, il suo software non era programmato per lottare ma per Dominare. Per lui la sconfitta è dramma esistenziale: dolore che non può avere lenimento. Federer è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. E' però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal. Se Federer fosse un telegiornale, sarebbe il Tg1. Se fosse un vino, sarebbe un Supertuscan. Se fosse un film, sarebbe una scena tagliata di Michelangelo Antonioni. Se fosse una pietanza, sarebbe un brodino.
Se fosse un uomo, faticherebbe ad essere Federer.
Novak Djokovic, Serbia. C'è una storiella, quella del Tiranno di Siracusa, il cui sottotesto è: si stava meglio quando si stava peggio. Cioè rimpiangeremo persino il Dittatore di prima, perché questo è pure peggio. Cioè arriveremo al punto da richiedere indietro Veltroni, perché Franceschini non si può votare. Ed eccoci, ordunque: Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. E' un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. Djokovic, no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo Lendl, e già questo basterebbe a detestarlo (anche se perfino Lendl aveva i suoi tifosi, persone che come gli astemi hanno qualcosa da nascondere). Però Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang. Lendl si presentava senza mediazioni, Djokovic no. Lui è berlusconiano, in questo. Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. E' l'uomo dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. E' sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo. Una prassi, questa, così oliata che quando sta male sul serio - ad esempio agli ultimi Australian Open - all'inizio non ci crede quasi nessuno (Sindrome Al Lupo Al Lupo). Djokovic è pienamente Lendovic nella bramosia di vittoria. In campo lo vedi respirare affannosamente, sembra dover svenire da un momento all'altro, lo sguardo basso, la prossemica pienamente chiagnefottista. Ogni tanto si lamenta perché l'altro osa tirare un gran colpo (come Federer, concepisce la bravura altrui una sorta di onta inaccettabile). Però è sempre lì, Novak (per gli adepti Nole). E così a un certo punto lo vedrai esultare ed esaltarsi con ferocia sadica. Gli occhi iniettati di sangue, le grida belluine, il braccio che va a toccarsi marzialmente il cuore. Neanche Napoleone durante la Campagna d'Egitto esultava così. Djokovic è ducesco financo nell'estasi: il mento sporgente, l'aria dittatoriale, lo sguardo trasfigurato dalla sete di potere. Come se fosse perennemente affacciato a Piazza Venezia. Lui non intende vincere: desidera devastare. Questo trionfo di amabilità è ulteriormente riverberato dai 78 rimbalzi pre-servizio, dal suo spulciarsi qua e là (appunto, come Lendl) e dall'allegra famigliola al seguito: mamma, papà, fratelli. Tutti bellamente urlanti, sobriamente vestiti, gradevolmente voraci. Lendovic ha vinto il suo primo (e sin qui unico) Slam a Melbourne nel 2008, poi ha alternato grandi cose (Masters, Master Series) a lunghe letargie.
Epperò rassegnatevi: non ricrescerà l'erba dopo il suo cammino.
Andy Murray, Scozia. Qui la vicenda è più complessa. Sono stato uno dei primi a parlarne bene in Italia, nel 2005 mi lanciai in un suo sperticato elogio dopo averlo visto smunto e oltremodo approssimativo al Queens. Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi - dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. E' lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche. Per molti, me compreso, il crinale tra il seguirlo e il detestarlo (sportivamentte eh, che solo di tennis discorriamo) è stato l'ultimo Wimbledon. Per due set fu zimbellato da Gasquet, un bellissimo Gasquet, che nel terzo servì per il match. Lì, ovviamente, implose. Da quel momento Murray impersonò come nessun altro Satana. Il Centrale divenne un'arena. Murray era il gladiatore e Gasquet null'altro che carne da macello. Il pubblico decretava la morte sportiva del liberto francese, Murray sguazzava (metaforicamente) nel sangue e ne godeva. Fu uno spettacolo raccapricciante, crudelissimo. Martirio vero. La morte definitiva di una meteora (Gasquet) e la nascita definitiva del Vampiro Carnivoro. L'ultima istantanea, grandguignolesca, fu Murray, il bianchiccio Murray, che mostrò al volgo (e alla madre non meno esagitata) il suo bicipite trionfante. Un bicipite per nulla sviluppato, rachitico, eppure ferale nella sua bieca normalità. Raramente ho assistito a cotanto calvario, neanche l'ultimo Muhammad Ali scontò così tanto la pena con Larry Holmes. Da allora mi è impossibile tifare anche solo minimamente per il Vampiro Hooligan. Ma gli riconosco due (grandi) meriti: saper giocare a tennis e non inseguire affatto il politicamente corretto. Murray si presenta per quello che è, senza sovrastrutture buoniste o paraculusche. E' cattivo e lo sa.
A differenza di due suoi altolocati colleghi.
I 10 tennisti da perdere:
1. Nikolay Davydenko, Russia. Non ha un pregio: brutto, triste, noioso e pure in odor di scommesse. Il suo gioco è un metronomo catacombale, i lineamenti ricordano il normotipo Stasi, il carisma è quello di un fagiolo lesso. Una delle più grandi sciagure estetiche mai abbattutesi sul tennis. E' dato in crisi da anni, ma alla fine sta sempre nei dieci (per demeriti altrui). Per i (pochissimi) esegeti ricorda Andreino Agassi, un po' come dire che Veltroni ricordava Obama.
Più che un tennista, il castigo postumo dei Soviet.
2. Andy Roddick, Stati Uniti. Un Karlovic evoluto, ma neanche troppo. Ha due cose: servizio e dritto (entrambi in fase discendente, per fortuna). Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così).
Malissimo.
3. Stanislas Wawrinka, Svizzera. Non è antipatico: è oltre. L'antipatia avrebbe anche le sue doti, Radek Stepanek e Robin Soderling sono lì a dimostrarlo. L'elegante (de che?) Stan avrebbe financo un rovescio a una mano di pregio, ma tutto è in lui respingente, a partire da quella pelle devastata da un'acne giovanile verosimilmente virulenta. Scorretto se ce n'è uno, rissoso, arrogante. Capace di scimmiottare Flavio Cipolla agli Us Open simulandone la zoppia (da stanchezza) per mandarlo fuori giri (quella volta ci riuscì; quella dopo, no). Trasversalmente odiato. Con Federer ha vinto l'epocale medaglia olimpica in doppio, festeggiata come neanche il Guiness dei Primati della mosca cieca. E' stato nei dieci: la speranza è che non ci torni. Cataclismatico.
4. Gilles Simon, Francia. Era un tempo grigio, triste, tetro. La Dittatura Vegana del Re Frigidaire imperava, credevamo tutti di avere avuto abbastanza dolori. Poi, a ricordarci che abbiamo molte colpe pregresse, è spuntato questo ferale morfing tra Sbirulino e gli occhi iniettati di sangue di Jack Torrance. Una sorta di Wilander fuori tempo massimo.
Sciagura.
5. Rainer Schuettler, Germania. Dico lui (se non altro è prossimo al ritiro: vamos) per alludere a tutti gli schuettleriani, ovvero i plumbei mediani dell'Atp, da Juan Ignacio Chela (aaaaaahhhh) ad Andreas Seppi (di cui discorrerò amabilmente nel capitolo Italiani). Già sento dire: Eh, ma è un esempio, si è fatto da sé, non ha talento ma ha saputo farsi valere. La classe operaia va in paradiso, bla bla bla. Già, ma io in questi casi vado a vedermi un film di Elio Petri o Ken Loach, mica una partita di tennis. Gli schuettleriani sono la kryptonite dell'estetica, ogni loro sconfitta è balsamo per l'umanità.
6. David Ferrer, Spagna. Eccolo, uno di quegli spagnoli che fanno (quasi) rimpiangere i Berasategui. Volitivo, tignoso, ripetitivo, Duracell: inguardabile. Il Pasquale Bruno del tennis. E' stato 4 al mondo e ha fatto una finale al Masters, dati che da soli bastano a dare la misura della (gelida) temperatura tennistica.
7. Tommy Robredo, Spagna. Piccola variazione sul medesimo tema di cui sopra: Dramma estetico. Gli italianisti prendono a esempio lui (o simili) per dire che "Se ce l'ha fatta Robredo, allora anche Volandri o Seppi possono andare nei 1o". Che potrebbe anche essere vero, ma non è mica una bella notizia. Come dire (avvertenza didascalica per i politicamente corretti:,sto per fare uso di iperbole) che se le Maldive hanno avuto uno tsunami, forse c'è speranza pure per noi: e che, c'è da esultare? C'è da essere felici? C'è da goderne? No, c'è solo da piangere. Robredo è l'impiegato per antonomasia, quello che suda e sgobba, che non si arrende, ma non crea mai. L'unico suo dato fantasioso è il nome di battesimo, ispirato dagli Who. Chissà come ci saranno rimasti male, papà e mamma Robredo, nel vedere come il loro presunto rocker abbia al massimo l'iconoclastia di Pupo.
8. Mario Ancic, Croazia. Ah, la sopravvalutazione. Bastò una semifinale nel 2002 (battendo un Federer non ancora robotico) per far dire ai più che "è nato il nuovo Ivanisevic". Sì, buonanotte. Un Ljubicic, sempre per citare i croati, ha fatto molto di più e non aveva gioco di volo, servizio e rovescio inferiori, ma Ljubo era brutto: invece Ancic è caruccio. Pure troppo caruccio, forse, visto che per molti i suoi guai fisici sono figli, oltre che della sfiga e dell'intemperanza (fare jetski non è il massimo come programmazione), della sua fervente attività ormonale - da cui sarebbe dipesa, secondo i rumours più cattivi, la lunga mononucleosi che lo ha debilitato. Ancic non è mai stato un campione e neanche ha mai fatto un vero e proprio serve and volley. Come se non bastasse, da tre anni si è inchiavardato da fondo, Indesit figlio di un Dio minore, denotando l'agilità di un dromedario con le infradito e l'acume tattico di Tursunov (un altro che in questa flop ten ci starebbe bene). Sopravvalutato e ormai definitivamente bruttino.
Un Pinolo Croato del tutto pleonastico.
9. Tomas Berdych, Repubblica Ceca. Lo Sparapalle Efebico. Un altro sopravvalutatissimo. Fumoso di lusso. Almeno fino a qualche anno fa era solito recitare il ruolo del pesce pulitore, eliminando sul veloce i vari Nadal. Adesso, neanche quello. Molti gli accreditavano doti inusitate, da salvatore della patria. Come no. Di fatto è una macchina sparapalle, scarsamente pensante in campo, per nulla carismatica, oltremodo ripetitiva. Gatto di marmo quanto a mobilità, bella copia (va be') del suo italico epigono, Simone Bolelli, che ne condivide il gusto per il colpo pulito (bene) e movenze da bradipo (male).
10. Gael Monfils, Francia. Chiariamo: il punto non è che sia un mancato rapper, inutilmente esagitato e addobbato come un marito daltonico di Rhianna. Il tennis è anche carisma, scontro di stili, lotta passionale. Non è una sfilata algida di moda come vorrebbe Federer, una Messa Laica officiata dai fondamentalisti federeriani, tra una giacchina bianca d'antan a Wimbledon e una frignatina liberatoria a Melbourne. Quindi La Monf andrebbe pure bene. Il problema è che, come gioco, il Gaelico è inaccettabile. Corre e colpisce otto metri lontano dalla riga di fondo, rematore di teloni come neanche Alessio Di Mauro. Mano discretamente quadra, un incrocio tra un Roddick inutilmente estroverso e un Chesnokov curiosamente di colore. La sua cavalcata trionfale (sic) all'ultimo Roland Garros è stata un drammatico dispensare di incubi estetici (con Horna, con Ljubicic, con chiunque). Ora sta un po' migliorando, ma peggiorare era difficile. Monfils vince il fotofinish della decima posizione in questa flop ten sul connazionale Paul-Henri Mathieu, fantozziano choker (perdentissimo) del circuito. Il fatto che Monfils e Simon siano nella top ten (vera), o nei pressi di essa, e un Gasquet no, dimostrano che a) la Francia è l'esempio da seguire, b) Gli Dèi del tennis sono adirati con l'umanità, c) Gasquet ha colpe imperdonabili.
Su Fabio Fognini: Il mio punto di vista su Fognini è esattamente quello che avevo 4 anni fa e sei mesi fa, ovverosia lo ritengo un buonissimo giocatore, non un campionissimo. Credo che quest’anno se si fosse applicato di più specialmente nella stagione su terra, sarebbe potuto entrare tra i primi dieci perché c’erano congiunzioni astrali favorevolissime. Ha perso un treno importante, mi viene in mente la partita buttata vergognosamente contro Monfils a Parigi, e non so se ne passerà un altro, mi auguro di sì. Io non sono un fogniniano, né tantomeno uno che tifa in relazione al paese di provenienza, ma Fabio è un giocatore che io salvo sempre perché il tennis non è un presepe e questa storia che un tennista deve essere per forza di cose educato non mi piace. Il tennis è sempre stato caratterizzato da genio e sregolatezza, il tennis è pieno di personaggi maleducati e ne ha bisogno perché non possono essere tutti come Federer. Lo salvo anche per un’altra motivazione: a me Fognini diverte, se invece vedo giocare Robredo o Ferrer mi rompo le palle. Mi diverte perché ha un tennis frizzante, perché ha degli atteggiamenti goliardici, mi diverte anche quando perde la brocca. Fognini è uno che, nel bene o nel male, ti dà emozioni. Certo è che se come l’ultima parte del 2014 sei solo sregolatezza senza genio, allora questo non è più perdonabile. Per certi versi, purtroppo, sta seguendo la parabola di Balotelli. Il confine tra essere maledetti (in senso positivo) ed essere nichilisti è molto labile.
Su Tommy Haas:
- Di lui si dice che è antipatico, "ariano" e quant'altro: menate. Rovescio e gioco di volo sono d'altissima scuola e, con un minimo di salute in più, sarebbe stato uno dei giocatori più tifati e benedetti degli ultimi dieci anni. Purtroppo è stato falcidiato da infortuni, a cui va aggiunta una testa poco lucida e non di rado masochistica.
-È stato uno [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] contemporaneo. Egualmente stilizzato, ariano, definitivo. I movimenti disegnati, i fraseggi del corpo a scolpire capolavori. Il suo è un tennis erotico, sensuale, conturbante. per Bellezza abbacinante, non totemica ma michelangiolesca. Qualcosa di Magistrale. E questo è, quando può e vuole, [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] L'Ariano: magistrale. Un trattato di Estetica applicata al tennis. C'è, nella sua maniera di scardinare l'ottusità avversaria, una marzialità irresistibile. Vederlo giocare, da un mese a questa parte, come ai bei tempi, è qualcosa che ha a che fare con la Beatitudine.- Uno che non ha mai avuto abbastanza applausi, men che meno fortuna. Rotto, sfibrato, incazzoso. Pure antipatico. Nei forum più surreali, qualche esperto di ramino l'ha definito "Il peggior numero 2 nella storia del tennis". Quante se ne sono lette, sentite, viste. Blasfemie inaccettabili.
Su Tsonga:
- Dritto che è maglio, servizio che è devastazione, gioco di volo e copertura come ce ne sono (oggi) pochi. Ganci e uppercut come se piovesse. Ha una mano, parafrasando Mario Brega, che può essere piuma o ferro. Fluttua come una farfalla e punge come un'ape (anche se a volte fluttua come un pachiderma e punge come un calabrone). Ogni suo match è spettacolo nello spettacolo. E quella somiglianza impressionante con The Greatest lo rende ancora più irrinunciabile.
- Il Muhammad Ali del tennis. Il Salvatore. Cassius Jo. Nell'era buonista dell'Atp, nel presepe del politicamente corretto, Egli è gioia e beatitudine. La quintessenza del carisma, della passionalità. Inarrivabile quando entra in trance agonistica e trascina sontuosamente la folla. Con lui si torna a Kinshasa, si torna Re.
- Poi lo vidi a Melbourne 2008. Oh, amici miei, se non l'avete visto o non lo ricordate nella semifinale con Nadal, vuol dire che avete sempre fatto l'amore solo su Second Life e ad occhi chiusi. Vuol dire che non sapete niente di tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], quel giorno, fu folgore e tuono, incendiò e devastò, visse e generò redenzione. Uno scintillio di bellezza, di carisma, di veemenza agonistica, come non se ne vedevano da decenni.
Su Murray: Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi – dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. È lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche
Varie (da Wikiquote):
-Ero edberghiano e [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], al tempo, mi appariva come il Nemico. Coscia grosse, mezzo albino, esibizionista: quante volte non ho certo pianto per sue sconfitte. Anche – soprattutto – quando scontò la pena con Michael Stich, l'Ariano odioso e bellissimo. Oggi sono passati gli anni, Becker è uno stanco giocatore di poker, nella vita ha sbagliato quasi tutto e mi accorgo di quanto farebbe bene al circuito.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. È però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], se non altro, era espressione di gran Tennis. Proprio per questo, Federer è doppiamente colpevole. Poteva essere un trascinatore, un iconoclasta, un ribelle indimenticabile. Ha preferito essere un impiegato di talento, un contabile di se stesso. Uno Schumacher con racchetta. Imperdonabile.
- [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] non è una tennista facile. È la sua fortuna e sfortuna. Fortuna, perché gioca un tennis quasi del tutto diverso dalle colleghe. Sfortuna, perché ha carattere poco smussato, non brilla in eleganza, fa poco per apparire simpatica (riuscendoci) e in campo sciorina una carrellata di smorfie scarsamente avvenenti.
- Ho amato McEnroe, Edberg, Cash, Korda, Rafter. Ma Federer non ne è erede. Al massimo è continuazione asettica del dittatore lungolinguato Sampras. Federer piace a chi si accontenta della retorica, delle apparenti buone maniere, dell'approccio finto bipartisan. Piace a chi cita i grandi scrittori (DFW) senza averli letti. Piace a chi ama il progressive, i vini supertuscans. È fortissimo, Federer. E geniale, oltremodo. Chi lo nega? Ma è anche algido, privo di carisma, infantilmente ancorato al feticcio dei record. Non gioca per divertire: gioca per mostrare che ce l'ha più lungo. Il suo non è gesto bianco: è onanismo.
- Il concetto, fascista e meschino, che per dieci anni ha messo in scacco la comunicazione tennistica: la Obbligatorietà di tifare Federer. Per decreto regio, lo si doveva tifare. Perché? Perché Roger (sempre da pronunciare come un'orazione: "R-o-g-e-r") è classico, è marziale, è corretto (quando vince), non sposa le veline (è un pregio?), va a rete (seeeeh: 8 anni fa, forse), piaceva a David Foster Wallace ed è contrario all'occhio di falco (è contrario alla moviola per motivi asimoviani: in quanto robot, non accetta che in campo ce ne sia un altro. È gelosia tra microchip, non fatto etico).
- Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. È un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], e già questo basterebbe a detestarlo.
- [Su Djokovic] Il Lendl di oggi, senza però il coraggio di essere pienamente cattivo. In campo è scorretto, simula infortuni, boccheggia come se vivesse in continua apnea. Poi fa un punto decisivo ed esulta belluinamente, come neanche un ustascia. Cattivissimo. Ma fuori dal campo, no: si presenta come simpatico, imitatore di colleghi, raccontatore di barzellette.
- Io accetto, eccome, che Federer piaccia. È lapalissiano che l'anti-federastismo sia un gioco. Ma non accetto l'obbligo regio di tifarlo. E nemmeno il postulato tonto secondo cui il tennis è "solo" Federer. Roger (anzi: R-o-g-e-r) è un secchione di talento, uno yuppie di successo col complesso edipico della moglie matrona. Federer è il Martone del tennis. E io preferisco gli sfigati. Di talento, di cuore. Ma sfigati.
- L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto.
- Leggo adesso di un [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] involuto da due anni, bruttino e insipiente: l'idea di un peggioramento presuppone però un'antecedente epoca dell'oro, durante la quale Djokovic sciorinava spettacolo e praticava un tennis champagne. Quando, di grazia? Sa dirmi qualcuno quando mai il gioco del Fingitore Fiorelliano è andato oltre un'idea soporifera di Meccano? Quando, per dirla coi filosofi presocratrici, Djokovic è stato meno palloso di adesso? Rispondiamo con certezza iconoclasta: mai. Djokovic è (sempre stato) il più brutto tennista dei Fab Four, noioso e ripetitivo, tignoso e allegramente chiagnefottista.
- Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang.
- [Su Djokovic] ] Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. È l'uomo dei capelli a spazzola tenuti insieme dal Vinavil, dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. È sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo.
- [Su Santoro] Non è sempre stato Mago. A inizio carriera (molto, molto tempo fa) era un pallettaro anonimo. Poi si è messo improvvisamente a giocare a un gioco tutto suo, da quadrumane, dritto e rovescio a due mani e ricami continui. Intortatore sublime, creatore di colpi impensabili.
- [Su Djokovic] Non sono mai stato un suo tifoso: me ne darete atto. Non mi piace né il suo gioco, né quel fare fiorello-paraculeggiante di chi fa il simpatico furbino in favor di telecamera. Situazionista e chiagnefottista, da sempre e per sempre. Però, però. Però quanto avremmo avuto bisogno di gente con questa tigna, questa arroganza, questa tempra, quando Federer e Nadal si spartivano il bottino tra sorrisi melliflui e faide stolte tra fanboys evasi dall'asilo.
- Ogni arte ha bisogno del Male, ogni teatro insegue il Cattivo. Eccolo, al suo massimo "splendore": [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]. Il Tiranno cecoslovacco è stato il Memento Mori del tennis. La quintessenza della cattiveria, del sadismo. Dell'antipatia. Brutto come una scena tagliata di Pino Quartullo (ammesso che ne esistano), soleva farsi il bagno nella segatura e spulciarsi scimmiescamente le sopracciglia prima di servire. Indossava polsini ascellari, il volto era scavato dall'odio, lo sguardo quello di un collezionista di bulbi.
- [Su Wilander] Pallettaro, pallettaro, pallettaro. Lento, soporifero, meditabondo. Tic tac, tic tac, tic tac. Ronf. Un Borg senza Borg. Uccise Leconte a suon di prime palle. Devastò l'estetica lungo tutto l'arco della sua carriera. Sembrava imperturbabile. Poi la vita gli chiese pegno, andò tutto in cortocircuito (come per Borg) e addio.
- [Su Melzer] Uomo dal braccio che non fa sconti e dalla testa troppo spesso in ferie, l'Austriaco è tra i pochi in pieno controllo della situazione a rete. Egli ricama col suo mancino estremo, cesellando stop volley e altri incanti ancestrali.
- Tra i miei rimpianti anagrafici, oltre a non avere avuto il tempo di vedere De André con la Pfm, Gaber in Polli di allevamento e i Led Zeppelin che si trippavano copiosamente in Galles, c'è quello di aver potuto godere soltanto degli scampoli finali di SuperBrat. L'Era del Moccioso l'ho solo studiata nei libri di testo (Tommasi). Il giorno in cui perse a Parigi con Lendl, terrificante Duce Sadico, fu un giorno tragico. L'11 settembre del tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è stato uno dei più grandi geni del Novecento. Quello era tennis.
- Quanto a Federer, lodi e peana. Definitivamente schumacheriano, totalitario e imperturbabile nel correre da solo. Quindicesimo slam, record su record e tanti altri vassalli da spennare. Direte: ma lui che colpa ha? Nessuna, al di là di quella stitica frigidità passionale. Non è certo colpa sua se è troppo più forte degli altri, né – più ancora – se gli altri si accontentano di esserci. Preferendo, al morso, un imprecisato quanto sterile abbaiare. Senza mai smettere di scodinzolare al Padrone.
- [Su Roddick] ] Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così). Malissimo.
- [Su Cash] Quella fascetta a scacchi, quella scalata sulle tribune di Wimbledon. Quel suo modo, tra il playboy e l'ombroso, di sbertucciare il malefico Lendl nella sacra finale erbivora. Serve and volley paradigmatico. Era ancora un tempo in cui gli australiani giocavano così e non come Hewitt. Era buontempo.
- Se mi chiedessero di fare il nome del tennista più sottovalutato del tennis attuale, non avrei dubbi: Ivan Ljubicic.