Passionetennis - Il portale del tennista
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Copio qualche articolo o frase di Andrea Scanzi. E' irriverente, a qualcuno potrà stare antipatico (troppo ingeneroso a volte, vedi Roddick), ma personalmente appoggio numerose sue opinioni.

Ne copincollo alcune: 

Nadal, Federer, Djokovic, Murray: i vincenti sono loro. Per gli altri solo briciole.
Ma lo spettacolo sta altrove.




Rafael Nadal, Spagna. L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma (dei quattro) il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. Nadal è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto. Inquietante nel suo rosario illimitato di tic (da compulsivo ossessivo vero), sgradevole nei rituali snervanti pre-servizio (smutandata compresa: davvero tamarra). Fino a due anni fa era il più grande specialista della terra rossa, ora un campione a tutto tondo. Tra i più grandi di sempre. Ma il fisico, ginocchia e non solo, comincia a scricchiolare. E non si capisce quanto tale strapotere fisico potrà durare: quel tanto che basta per rintuzzare definitivamente i colpi di coda del Dittatore, se possibile.




Roger Federer, Svizzera. Ah, quanto è stato lungo, mellifluo e - in buona sostanza - palloso il suo quinquennio (o giù di lì) dittatoriale. Neanche un piano sequenza di mezzora di Abbas Kiarostami avrebbe devastato così in profondità gli zebedei di tutti coloro che non si chiamano Mirka Vavrinec e non appartengono alla tribù fondamentalista dei Federasti Piangenti. Dalla fine del 2003 alla metà del 2008, fatto salvo Nadal e un Safin occasionale, giornali e tivù erano un coro unanime di peana politicamente corretti: Quanto è bello Federer, quanto è bravo, quanto è garbato, quanto è imbattibile. "Il più grande di sempre", bla bla bla. L'opposizione era negata, gli avversari non esistevano. Solo vassalli. Il trionfo della sudditanza psicologica, l'incubo del one man show. Leggevi Tennis Italiano e ti beccavi 87 pagine di Laudi incensanti. Accendevi la tivù e ti beccavi Federer che benediceva la plebe, indossava la giacchina della comunione a Wimbledon e faceva una carezza tenera al vassallo per il servilismo dimostrato. Una Dittatura cupa, all'apparenza garbata ma in realtà assolutista. Priva della benché minima pietà. Chiaro che Federer si divertiva, come accade allo zio che gioca a tressette col nipote di due anni e vince sempre: capita così quando giochi da solo. Ma almeno, col nipote, non hai attorno il pubblico che chiede pathos. Federer, coi suoi modi gentili fuori e sadici dentro (nessuno come lui, negli anni, ha amato minare dalle fondamenta la psiche dei servitori, irridendoli con messe di 6-0), stava ammazzando il tennis. Peggio: lo stava addormentando. La noia imperava, non vi era suspence, non vi era stupore, non vi era sorpresa. Solo un assolo sempiterno del primo della classe, ogni tanto accipigliato perché il maestro (Rod Laver?) gli aveva dato 7 e non 9.5. Davvero agghiacciante, quel tempo. E quella inumana corsa al record, quel feticismo da vittoria, quel desiderio inaccettabile di negare la propria umanità. Poi è arrivato Nadal, e il tennis si è liberato del Despotismo Vegano. Da allora Federer vive l'autunno del patriarca, continua a vincere ma sempre meno. E i Federasti, i più permalosi del microcosmo tennistico, mugugnano lividi e inconsolabili, come tutti i pretoriani quando la statua del Dittatore cade e non c'è nemmeno una straccio di Repubblica di Salò (o di Basilea) a cui aggrapparsi. Imprecano. Insultano. Straparlano di "morte del tennis", non sapendo che fino ad oggi il "becchino" elegantemente vestito era stato proprio Indesit The King. Ma a soffrire più di tutti è lui, è Federer, che interiorizza il Golgota freudianamente (parola che non conosce, come non conosce Freud). Si picca, come i bambini a cui hanno tolto il giocattolo. Frigna dopo le sconfitte, manco fosse all'asilo. Si aggrappa a un doppio olimpico per questuare un trionfo. Ieri faceva ace nelle palle break, ora doppio fallo. Barcolla, si nasconde per mesi, persegue il suo lamento (ma guai a chiedere aiuto, a cercare un allenatore, a cambiare tattica: la sua somma presunzione non glielo permette, significherebbe ammettere di essere fallibile). Federer preferisce "indossare" la griccina permalosa, il labbrino con gli occhi lucidi: uno spettacolo tragicomico, nel suo genere. Come è tragicomico quel suo litigare con Hawk Eye, Occhio di Falco, la moviola in campo: un robot che litiga con un computer, neanche Isaac Asimov era mai arrivato a tanto. Nelle conferenze stampa, Rogi nega ostinatamente di essere diventato (con merito) il numero due del mondo. Per forza: il suo hardware non contempla la sconfitta, il suo software non era programmato per lottare ma per Dominare. Per lui la sconfitta è dramma esistenziale: dolore che non può avere lenimento. Federer è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. E' però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal. Se Federer fosse un telegiornale, sarebbe il Tg1. Se fosse un vino, sarebbe un Supertuscan. Se fosse un film, sarebbe una scena tagliata di Michelangelo Antonioni. Se fosse una pietanza, sarebbe un brodino.
Se fosse un uomo, faticherebbe ad essere Federer.


Novak Djokovic, Serbia. C'è una storiella, quella del Tiranno di Siracusa, il cui sottotesto è: si stava meglio quando si stava peggio. Cioè rimpiangeremo persino il Dittatore di prima, perché questo è pure peggio. Cioè arriveremo al punto da richiedere indietro Veltroni, perché Franceschini non si può votare. Ed eccoci, ordunque: Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. E' un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. Djokovic, no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo Lendl, e già questo basterebbe a detestarlo (anche se perfino Lendl aveva i suoi tifosi, persone che come gli astemi hanno qualcosa da nascondere). Però Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang. Lendl si presentava senza mediazioni, Djokovic no. Lui è berlusconiano, in questo. Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. E' l'uomo dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. E' sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo. Una prassi, questa, così oliata che quando sta male sul serio - ad esempio agli ultimi Australian Open - all'inizio non ci crede quasi nessuno (Sindrome Al Lupo Al Lupo). Djokovic è pienamente Lendovic nella bramosia di vittoria. In campo lo vedi respirare affannosamente, sembra dover svenire da un momento all'altro, lo sguardo basso, la prossemica pienamente chiagnefottista. Ogni tanto si lamenta perché l'altro osa tirare un gran colpo (come Federer, concepisce la bravura altrui una sorta di onta inaccettabile). Però è sempre lì, Novak (per gli adepti Nole). E così a un certo punto lo vedrai esultare ed esaltarsi con ferocia sadica. Gli occhi iniettati di sangue, le grida belluine, il braccio che va a toccarsi marzialmente il cuore. Neanche Napoleone durante la Campagna d'Egitto esultava così. Djokovic è ducesco financo nell'estasi: il mento sporgente, l'aria dittatoriale, lo sguardo trasfigurato dalla sete di potere. Come se fosse perennemente affacciato a Piazza Venezia. Lui non intende vincere: desidera devastare. Questo trionfo di amabilità è ulteriormente riverberato dai 78 rimbalzi pre-servizio, dal suo spulciarsi qua e là (appunto, come Lendl) e dall'allegra famigliola al seguito: mamma, papà, fratelli. Tutti bellamente urlanti, sobriamente vestiti, gradevolmente voraci. Lendovic ha vinto il suo primo (e sin qui unico) Slam a Melbourne nel 2008, poi ha alternato grandi cose (Masters, Master Series) a lunghe letargie.
Epperò rassegnatevi: non ricrescerà l'erba dopo il suo cammino.


Andy Murray, Scozia. Qui la vicenda è più complessa. Sono stato uno dei primi a parlarne bene in Italia, nel 2005 mi lanciai in un suo sperticato elogio dopo averlo visto smunto e oltremodo approssimativo al Queens. Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi - dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. E' lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche. Per molti, me compreso, il crinale tra il seguirlo e il detestarlo (sportivamentte eh, che solo di tennis discorriamo) è stato l'ultimo Wimbledon. Per due set fu zimbellato da Gasquet, un bellissimo Gasquet, che nel terzo servì per il match. Lì, ovviamente, implose. Da quel momento Murray impersonò come nessun altro Satana. Il Centrale divenne un'arena. Murray era il gladiatore e Gasquet null'altro che carne da macello. Il pubblico decretava la morte sportiva del liberto francese, Murray sguazzava (metaforicamente) nel sangue e ne godeva. Fu uno spettacolo raccapricciante, crudelissimo. Martirio vero. La morte definitiva di una meteora (Gasquet) e la nascita definitiva del Vampiro Carnivoro. L'ultima istantanea, grandguignolesca, fu Murray, il bianchiccio Murray, che mostrò al volgo (e alla madre non meno esagitata) il suo bicipite trionfante. Un bicipite per nulla sviluppato, rachitico, eppure ferale nella sua bieca normalità. Raramente ho assistito a cotanto calvario, neanche l'ultimo Muhammad Ali scontò così tanto la pena con Larry Holmes. Da allora mi è impossibile tifare anche solo minimamente per il Vampiro Hooligan. Ma gli riconosco due (grandi) meriti: saper giocare a tennis e non inseguire affatto il politicamente corretto. Murray si presenta per quello che è, senza sovrastrutture buoniste o paraculusche. E' cattivo e lo sa.
A differenza di due suoi altolocati colleghi.




I 10 tennisti da perdere:




1. Nikolay Davydenko, Russia. Non ha un pregio: brutto, triste, noioso e pure in odor di scommesse. Il suo gioco è un metronomo catacombale, i lineamenti ricordano il normotipo Stasi, il carisma è quello di un fagiolo lesso. Una delle più grandi sciagure estetiche mai abbattutesi sul tennis. E' dato in crisi da anni, ma alla fine sta sempre nei dieci (per demeriti altrui). Per i (pochissimi) esegeti ricorda Andreino Agassi, un po' come dire che Veltroni ricordava Obama.
Più che un tennista, il castigo postumo dei Soviet.




2. Andy Roddick, Stati Uniti. Un Karlovic evoluto, ma neanche troppo. Ha due cose: servizio e dritto (entrambi in fase discendente, per fortuna). Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così).
Malissimo.




3. Stanislas Wawrinka, Svizzera. Non è antipatico: è oltre. L'antipatia avrebbe anche le sue doti, Radek Stepanek e Robin Soderling sono lì a dimostrarlo. L'elegante (de che?) Stan avrebbe financo un rovescio a una mano di pregio, ma tutto è in lui respingente, a partire da quella pelle devastata da un'acne giovanile verosimilmente virulenta. Scorretto se ce n'è uno, rissoso, arrogante. Capace di scimmiottare Flavio Cipolla agli Us Open simulandone la zoppia (da stanchezza) per mandarlo fuori giri (quella volta ci riuscì; quella dopo, no). Trasversalmente odiato. Con Federer ha vinto l'epocale medaglia olimpica in doppio, festeggiata come neanche il Guiness dei Primati della mosca cieca. E' stato nei dieci: la speranza è che non ci torni. Cataclismatico.




4. Gilles Simon, Francia. Era un tempo grigio, triste, tetro. La Dittatura Vegana del Re Frigidaire imperava, credevamo tutti di avere avuto abbastanza dolori. Poi, a ricordarci che abbiamo molte colpe pregresse, è spuntato questo ferale morfing tra Sbirulino e gli occhi iniettati di sangue di Jack Torrance. Una sorta di Wilander fuori tempo massimo.
Sciagura.




5. Rainer Schuettler, Germania. Dico lui (se non altro è prossimo al ritiro: vamos) per alludere a tutti gli schuettleriani, ovvero i plumbei mediani dell'Atp, da Juan Ignacio Chela (aaaaaahhhh) ad Andreas Seppi (di cui discorrerò amabilmente nel capitolo Italiani). Già sento dire: Eh, ma è un esempio, si è fatto da sé, non ha talento ma ha saputo farsi valere. La classe operaia va in paradiso, bla bla bla. Già, ma io in questi casi vado a vedermi un film di Elio Petri o Ken Loach, mica una partita di tennis. Gli schuettleriani sono la kryptonite dell'estetica, ogni loro sconfitta è balsamo per l'umanità.




6. David Ferrer, Spagna. Eccolo, uno di quegli spagnoli che fanno (quasi) rimpiangere i Berasategui. Volitivo, tignoso, ripetitivo, Duracell: inguardabile. Il Pasquale Bruno del tennis. E' stato 4 al mondo e ha fatto una finale al Masters, dati che da soli bastano a dare la misura della (gelida) temperatura tennistica.




7. Tommy Robredo, Spagna. Piccola variazione sul medesimo tema di cui sopra: Dramma estetico. Gli italianisti prendono a esempio lui (o simili) per dire che "Se ce l'ha fatta Robredo, allora anche Volandri o Seppi possono andare nei 1o". Che potrebbe anche essere vero, ma non è mica una bella notizia. Come dire (avvertenza didascalica per i politicamente corretti:,sto per fare uso di iperbole) che se le Maldive hanno avuto uno tsunami, forse c'è speranza pure per noi: e che, c'è da esultare? C'è da essere felici? C'è da goderne? No, c'è solo da piangere. Robredo è l'impiegato per antonomasia, quello che suda e sgobba, che non si arrende, ma non crea mai. L'unico suo dato fantasioso è il nome di battesimo, ispirato dagli Who. Chissà come ci saranno rimasti male, papà e mamma Robredo, nel vedere come il loro presunto rocker abbia al massimo l'iconoclastia di Pupo.




8. Mario Ancic, Croazia. Ah, la sopravvalutazione. Bastò una semifinale nel 2002 (battendo un Federer non ancora robotico) per far dire ai più che "è nato il nuovo Ivanisevic". Sì, buonanotte. Un Ljubicic, sempre per citare i croati, ha fatto molto di più e non aveva gioco di volo, servizio e rovescio inferiori, ma Ljubo era brutto: invece Ancic è caruccio. Pure troppo caruccio, forse, visto che per molti i suoi guai fisici sono figli, oltre che della sfiga e dell'intemperanza (fare jetski non è il massimo come programmazione), della sua fervente attività ormonale - da cui sarebbe dipesa, secondo i rumours più cattivi, la lunga mononucleosi che lo ha debilitato. Ancic non è mai stato un campione e neanche ha mai fatto un vero e proprio serve and volley. Come se non bastasse, da tre anni si è inchiavardato da fondo, Indesit figlio di un Dio minore, denotando l'agilità di un dromedario con le infradito e l'acume tattico di Tursunov (un altro che in questa flop ten ci starebbe bene). Sopravvalutato e ormai definitivamente bruttino.
Un Pinolo Croato del tutto pleonastico.




9. Tomas Berdych, Repubblica Ceca. Lo Sparapalle Efebico. Un altro sopravvalutatissimo. Fumoso di lusso. Almeno fino a qualche anno fa era solito recitare il ruolo del pesce pulitore, eliminando sul veloce i vari Nadal. Adesso, neanche quello. Molti gli accreditavano doti inusitate, da salvatore della patria. Come no. Di fatto è una macchina sparapalle, scarsamente pensante in campo, per nulla carismatica, oltremodo ripetitiva. Gatto di marmo quanto a mobilità, bella copia (va be') del suo italico epigono, Simone Bolelli, che ne condivide il gusto per il colpo pulito (bene) e movenze da bradipo (male).




10. Gael Monfils, Francia. Chiariamo: il punto non è che sia un mancato rapper, inutilmente esagitato e addobbato come un marito daltonico di Rhianna. Il tennis è anche carisma, scontro di stili, lotta passionale. Non è una sfilata algida di moda come vorrebbe Federer, una Messa Laica officiata dai fondamentalisti federeriani, tra una giacchina bianca d'antan a Wimbledon e una frignatina liberatoria a Melbourne. Quindi La Monf andrebbe pure bene. Il problema è che, come gioco, il Gaelico è inaccettabile. Corre e colpisce otto metri lontano dalla riga di fondo, rematore di teloni come neanche Alessio Di Mauro. Mano discretamente quadra, un incrocio tra un Roddick inutilmente estroverso e un Chesnokov curiosamente di colore. La sua cavalcata trionfale (sic) all'ultimo Roland Garros è stata un drammatico dispensare di incubi estetici (con Horna, con Ljubicic, con chiunque). Ora sta un po' migliorando, ma peggiorare era difficile. Monfils vince il fotofinish della decima posizione in questa flop ten sul connazionale Paul-Henri Mathieu, fantozziano choker (perdentissimo) del circuito. Il fatto che Monfils e Simon siano nella top ten (vera), o nei pressi di essa, e un Gasquet no, dimostrano che a) la Francia è l'esempio da seguire, b) Gli Dèi del tennis sono adirati con l'umanità, c) Gasquet ha colpe imperdonabili.




Su Fabio Fognini: Il mio punto di vista su Fognini è esattamente quello che avevo 4 anni fa e sei mesi fa, ovverosia lo ritengo un buonissimo giocatore, non un campionissimo. Credo che quest’anno se si fosse applicato di più specialmente nella stagione su terra, sarebbe potuto entrare tra i primi dieci perché c’erano congiunzioni astrali favorevolissime. Ha perso un treno importante, mi viene in mente la partita buttata vergognosamente contro Monfils a Parigi, e non so se ne passerà un altro, mi auguro di sì. Io non sono un fogniniano, né tantomeno uno che tifa in relazione al paese di provenienza, ma Fabio è un giocatore che io salvo sempre perché il tennis non è un presepe e questa storia che un tennista deve essere per forza di cose educato non mi piace. Il tennis è sempre stato caratterizzato da genio e sregolatezza, il tennis è pieno di personaggi maleducati e ne ha bisogno perché non possono essere tutti come Federer. Lo salvo anche per un’altra motivazione: a me Fognini diverte, se invece vedo giocare Robredo o Ferrer mi rompo le palle. Mi diverte perché ha un tennis frizzante, perché ha degli atteggiamenti goliardici, mi diverte anche quando perde la brocca. Fognini è uno che, nel bene o nel male, ti dà emozioni. Certo è che se come l’ultima parte del 2014 sei solo sregolatezza senza genio, allora questo non è più perdonabile. Per certi versi, purtroppo, sta seguendo la parabola di Balotelli. Il confine tra essere maledetti (in senso positivo) ed essere nichilisti è molto labile.




Su Tommy Haas: 
Di lui si dice che è antipatico, "ariano" e quant'altro: menate. Rovescio e gioco di volo sono d'altissima scuola e, con un minimo di salute in più, sarebbe stato uno dei giocatori più tifati e benedetti degli ultimi dieci anni. Purtroppo è stato falcidiato da infortuni, a cui va aggiunta una testa poco lucida e non di rado masochistica.
-È stato uno [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] contemporaneo. Egualmente stilizzato, ariano, definitivo. I movimenti disegnati, i fraseggi del corpo a scolpire capolavori. Il suo è un tennis erotico, sensuale, conturbante. per Bellezza abbacinante, non totemica ma michelangiolesca. Qualcosa di Magistrale. E questo è, quando può e vuole, [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] L'Ariano: magistrale. Un trattato di Estetica applicata al tennis. C'è, nella sua maniera di scardinare l'ottusità avversaria, una marzialità irresistibile. Vederlo giocare, da un mese a questa parte, come ai bei tempi, è qualcosa che ha a che fare con la Beatitudine.
Uno che non ha mai avuto abbastanza applausi, men che meno fortuna. Rotto, sfibrato, incazzoso. Pure antipatico. Nei forum più surreali, qualche esperto di ramino l'ha definito "Il peggior numero 2 nella storia del tennis". Quante se ne sono lette, sentite, viste. Blasfemie inaccettabili.




Su Tsonga:
- Dritto che è maglio, servizio che è devastazione, gioco di volo e copertura come ce ne sono (oggi) pochi. Ganci e uppercut come se piovesse. Ha una mano, parafrasando Mario Brega, che può essere piuma o ferro. Fluttua come una farfalla e punge come un'ape (anche se a volte fluttua come un pachiderma e punge come un calabrone). Ogni suo match è spettacolo nello spettacolo. E quella somiglianza impressionante con The Greatest lo rende ancora più irrinunciabile.
 Il Muhammad Ali del tennis. Il Salvatore. Cassius Jo. Nell'era buonista dell'Atp, nel presepe del politicamente corretto, Egli è gioia e beatitudine. La quintessenza del carisma, della passionalità. Inarrivabile quando entra in trance agonistica e trascina sontuosamente la folla. Con lui si torna a Kinshasa, si torna Re.
Poi lo vidi a Melbourne 2008. Oh, amici miei, se non l'avete visto o non lo ricordate nella semifinale con Nadal, vuol dire che avete sempre fatto l'amore solo su Second Life e ad occhi chiusi. Vuol dire che non sapete niente di tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], quel giorno, fu folgore e tuono, incendiò e devastò, visse e generò redenzione. Uno scintillio di bellezza, di carisma, di veemenza agonistica, come non se ne vedevano da decenni.




Su Murray: Era a inizio carriera, un bambino alle prime armi, ma c'era in lui quello che appare adesso manifesto: le capacità geometriche, la buona mano, la dote non comune di trascinare il pubblico. Il suo limite era il fisico, dopo due set era cotto. Oggi no, oggi – dopo una cura di sushi e spinaci Braccio style- è il quarto del mondo. Il suo primo Slam è solo questione di mesi. A volte gioca ricordando Mecir, a volte si fa pavido rammentando il peggior Wilander. Ma ha carattere. Anche troppo: personaggio vero, amato e odiato. È lui, non Djokovic, quello che più merita il ruolo del Cattivo. Perché non insegue, a differenza del situazionista del medical time out Djokovic, il plauso unanime. Lui ama dispiacere, riuscendoci alla grande. Murray è respingente in tutto quello che fa e mostra: nella pettinatura da comparsa di Dario Argento, nei denti aguzzi da Vampiro. In quelle urla virulente. Nelle espressioni mefistofeliche




Varie (da Wikiquote): 


-Ero edberghiano e [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], al tempo, mi appariva come il Nemico. Coscia grosse, mezzo albino, esibizionista: quante volte non ho certo pianto per sue sconfitte. Anche – soprattutto – quando scontò la pena con Michael Stich, l'Ariano odioso e bellissimo. Oggi sono passati gli anni, Becker è uno stanco giocatore di poker, nella vita ha sbagliato quasi tutto e mi accorgo di quanto farebbe bene al circuito.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è (senz'altro) un tennista straordinario. Lo ricorderemo in eterno. La speranza (vana) è che la polvere gli restituisca umanità e lo liberi da cotanto inseguito torpore. È però un peccato che tale talento, tale grazia, tale anelito alla perfezione sia stato donato a un frigorifero. Re Frigidaire. Il primo Federer era stupendo, iconoclasta, folle. Quel Federer pre-robotico ha abiurato se stesso in nome del Dominio. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher. Che tristezza. Federer è un robot capace di accendere la folla come un battipanni di vimini (di plastica no, sarebbe troppo poco cool). Un Churchill col carisma di Quiesling. La sua dittatura è stata un terrificante soliloquio egoriferito, politicamente corretto, protetto dall'intoccabilità come neanche il Papa. Neanche il gibboso e linguapenzoluto Sampras era così caratterialmente amorfo. La sua kryptonite si chiama Nadal.
-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], se non altro, era espressione di gran Tennis. Proprio per questo, Federer è doppiamente colpevole. Poteva essere un trascinatore, un iconoclasta, un ribelle indimenticabile. Ha preferito essere un impiegato di talento, un contabile di se stesso. Uno Schumacher con racchetta. Imperdonabile.
[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] non è una tennista facile. È la sua fortuna e sfortuna. Fortuna, perché gioca un tennis quasi del tutto diverso dalle colleghe. Sfortuna, perché ha carattere poco smussato, non brilla in eleganza, fa poco per apparire simpatica (riuscendoci) e in campo sciorina una carrellata di smorfie scarsamente avvenenti.
Ho amato McEnroe, Edberg, Cash, Korda, Rafter. Ma Federer non ne è erede. Al massimo è continuazione asettica del dittatore lungolinguato Sampras. Federer piace a chi si accontenta della retorica, delle apparenti buone maniere, dell'approccio finto bipartisan. Piace a chi cita i grandi scrittori (DFW) senza averli letti. Piace a chi ama il progressive, i vini supertuscans. È fortissimo, Federer. E geniale, oltremodo. Chi lo nega? Ma è anche algido, privo di carisma, infantilmente ancorato al feticcio dei record. Non gioca per divertire: gioca per mostrare che ce l'ha più lungo. Il suo non è gesto bianco: è onanismo.
Il concetto, fascista e meschino, che per dieci anni ha messo in scacco la comunicazione tennistica: la Obbligatorietà di tifare Federer. Per decreto regio, lo si doveva tifare. Perché? Perché Roger (sempre da pronunciare come un'orazione: "R-o-g-e-r") è classico, è marziale, è corretto (quando vince), non sposa le veline (è un pregio?), va a rete (seeeeh: 8 anni fa, forse), piaceva a David Foster Wallace ed è contrario all'occhio di falco (è contrario alla moviola per motivi asimoviani: in quanto robot, non accetta che in campo ce ne sia un altro. È gelosia tra microchip, non fatto etico).
Il Duce Serbo è il male maggiore, ma toccherà sopportarlo a lungo, perché non è solo forte: è sadico. Cannibalmente attratto dal trionfo plebiscitario. Federer, al di là delle iperboli, delle metafore politiche e del carisma obitoriale, gioca sontuosamente (non sempre, spesso sì) a tennis. È un bel vedere, per quanto somigliante a un disco di David Gilmour o un libro di Alessandro Baricco. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], no: il suo tennis è una palla sovrumana. Piace a chi vuole vincere e a chi stravede per la tattica. Piace a chi concepisce il tennis come una branchia della geometria e dell'architettura. Bravi, bene 8 +, ma se è così meglio avvicinarsi a Renzo Piano. Djokovic è il nuovo[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], e già questo basterebbe a detestarlo.
- [Su Djokovic]  Il Lendl di oggi, senza però il coraggio di essere pienamente cattivo. In campo è scorretto, simula infortuni, boccheggia come se vivesse in continua apnea. Poi fa un punto decisivo ed esulta belluinamente, come neanche un ustascia. Cattivissimo. Ma fuori dal campo, no: si presenta come simpatico, imitatore di colleghi, raccontatore di barzellette.
Io accetto, eccome, che Federer piaccia. È lapalissiano che l'anti-federastismo sia un gioco. Ma non accetto l'obbligo regio di tifarlo. E nemmeno il postulato tonto secondo cui il tennis è "solo" Federer. Roger (anzi: R-o-g-e-r) è un secchione di talento, uno yuppie di successo col complesso edipico della moglie matrona. Federer è il Martone del tennis. E io preferisco gli sfigati. Di talento, di cuore. Ma sfigati.
L'atletismo ai massimi livelli. Costantemente capace di migliorarsi, in grado di stupire (Wimbledon) e ristupire (Australian Open). Ha liberato il tennis dalla affliggente Dittatura Catacombale del Vegano, e questo basta per benedirlo. Poi, certo, non è il bene maggiore ma il male minore. Lo spettacolo è un'altra cosa, come il talento puro. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è la straordinarietà della grinta, il recupero impossibile, la resistenza inumana: da qui, e da alcune sue frequentazioni non immacolate, la strisciante accusa di doping. Però non è neanche giusto definirlo mano quadra: nel tempo ha migliorato rovescio, servizio e persino gioco di volo, grazie a quella umiltà che Federer mai ha avuto.
Leggo adesso di un [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] involuto da due anni, bruttino e insipiente: l'idea di un peggioramento presuppone però un'antecedente epoca dell'oro, durante la quale Djokovic sciorinava spettacolo e praticava un tennis champagne. Quando, di grazia? Sa dirmi qualcuno quando mai il gioco del Fingitore Fiorelliano è andato oltre un'idea soporifera di Meccano? Quando, per dirla coi filosofi presocratrici, Djokovic è stato meno palloso di adesso? Rispondiamo con certezza iconoclasta: mai. Djokovic è (sempre stato) il più brutto tennista dei Fab Four, noioso e ripetitivo, tignoso e allegramente chiagnefottista.
Lendl, nella sua personificazione del Male, anzi del Maligno, in quella sua liturgia di tic bestiali (le ciglia spulciate, l'orrido detergersi nella segatura) e look orrorifico (quei polsini più lunghi del Tamigi) aveva un merito. Uno solo: rappresentava benissimo il ruolo del Cattivo. Non aveva pregi e non pretendeva di averne. Era l'uomo da odiare, l'anti McEnroe, l'anti-Bellezza. E il mondo (quello salvo, almeno) gioiva nel vederlo umiliato a Wimbledon, più ancora irriso dal servizio "da sotto" di Chang.
- [Su Djokovic] ] Mira al potere, anela alla dittatura, baratterebbe qualsiasi cosa per lo Scettro, ma tiene alle buone maniere. Non vuole solo la botte piena, ma pure la moglie ubriaca. Il plauso di pubblico e critica. E allora fa burlesche imitazioni (dei colleghi), racconta barzellette (come Berlusconi), continua a canticchiare quel motivetto celentaniano che fa "Eppure son simpatico". Col risultato di non essere né carne né pesce. Né buono, né cattivo. Solo antipatico. E soporifero: non un tennista ma un Meccano. La filosofia di Djokovic è il chiagnefottismo. È l'uomo dei capelli a spazzola tenuti insieme dal Vinavil, dei ritiri e del medical time out. Se perde è colpa di infortuni imprecisati, di dolori impalpabili, del buco nell'ozono o della crisi finanziaria. È sotto di un set? Tac, chiama il medico, un quarto d'ora di pausa e l'altro perde il ritmo.
- [Su Santoro]  Non è sempre stato Mago. A inizio carriera (molto, molto tempo fa) era un pallettaro anonimo. Poi si è messo improvvisamente a giocare a un gioco tutto suo, da quadrumane, dritto e rovescio a due mani e ricami continui. Intortatore sublime, creatore di colpi impensabili.
- [Su Djokovic]  Non sono mai stato un suo tifoso: me ne darete atto. Non mi piace né il suo gioco, né quel fare fiorello-paraculeggiante di chi fa il simpatico furbino in favor di telecamera. Situazionista e chiagnefottista, da sempre e per sempre. Però, però. Però quanto avremmo avuto bisogno di gente con questa tigna, questa arroganza, questa tempra, quando Federer e Nadal si spartivano il bottino tra sorrisi melliflui e faide stolte tra fanboys evasi dall'asilo.
Ogni arte ha bisogno del Male, ogni teatro insegue il Cattivo. Eccolo, al suo massimo "splendore": [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]. Il Tiranno cecoslovacco è stato il Memento Mori del tennis. La quintessenza della cattiveria, del sadismo. Dell'antipatia. Brutto come una scena tagliata di Pino Quartullo (ammesso che ne esistano), soleva farsi il bagno nella segatura e spulciarsi scimmiescamente le sopracciglia prima di servire. Indossava polsini ascellari, il volto era scavato dall'odio, lo sguardo quello di un collezionista di bulbi.
- [Su Wilander] Pallettaro, pallettaro, pallettaro. Lento, soporifero, meditabondo. Tic tac, tic tac, tic tac. Ronf. Un Borg senza Borg. Uccise Leconte a suon di prime palle. Devastò l'estetica lungo tutto l'arco della sua carriera. Sembrava imperturbabile. Poi la vita gli chiese pegno, andò tutto in cortocircuito (come per Borg) e addio.
- [Su Melzer] Uomo dal braccio che non fa sconti e dalla testa troppo spesso in ferie, l'Austriaco è tra i pochi in pieno controllo della situazione a rete. Egli ricama col suo mancino estremo, cesellando stop volley e altri incanti ancestrali.
Tra i miei rimpianti anagrafici, oltre a non avere avuto il tempo di vedere De André con la Pfm, Gaber in Polli di allevamento e i Led Zeppelin che si trippavano copiosamente in Galles, c'è quello di aver potuto godere soltanto degli scampoli finali di SuperBrat. L'Era del Moccioso l'ho solo studiata nei libri di testo (Tommasi). Il giorno in cui perse a Parigi con Lendl, terrificante Duce Sadico, fu un giorno tragico. L'11 settembre del tennis. [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] è stato uno dei più grandi geni del Novecento. Quello era tennis.
Quanto a Federer, lodi e peana. Definitivamente schumacheriano, totalitario e imperturbabile nel correre da solo. Quindicesimo slam, record su record e tanti altri vassalli da spennare. Direte: ma lui che colpa ha? Nessuna, al di là di quella stitica frigidità passionale. Non è certo colpa sua se è troppo più forte degli altri, né – più ancora – se gli altri si accontentano di esserci. Preferendo, al morso, un imprecisato quanto sterile abbaiare. Senza mai smettere di scodinzolare al Padrone.
- [Su Roddick] ] Totalmente sprovvisto di grazia, senza un briciolo di talento, ha vinto (troppo) per mancanza di avversari sfruttando, come Lleyton Hewitt, l'interregno Sampras/Federer. Da tempo staziona stancamente nella top ten, per il colpevole lassismo degli avversari. Un tennista-clavatore, senza la prima di servizio faticherebbe a stare nei primi 50. A rete commette sciagure, tatticamente è dadaista (ma non sa cosa vuol dire dadaista). Uno scempio estetico prolungato, inenarrabile. Inaccettabile. E non lo aiuta quel cappellino perennemente gocciolante (mai vista una visiera sudare così). Malissimo.
- [Su Cash] Quella fascetta a scacchi, quella scalata sulle tribune di Wimbledon. Quel suo modo, tra il playboy e l'ombroso, di sbertucciare il malefico Lendl nella sacra finale erbivora. Serve and volley paradigmatico. Era ancora un tempo in cui gli australiani giocavano così e non come Hewitt. Era buontempo.
Se mi chiedessero di fare il nome del tennista più sottovalutato del tennis attuale, non avrei dubbi: Ivan Ljubicic.

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Personalmente,mi trovo spesso d'accordo con Scanzi, personaggio"multiforme" che nasce dal giornalismo musicale per arrivare poi a quello di costume e politico.E'un grosso appassionato di tennis,ma da qui a definirlo un esperto ce ne corre. Sulle sue disamine sui giocatori, soprattutto quelli recenti,non mi trovo d'accordo sulla mezza stroncatura di Wawrinka.Non mi pare cosi'antipatico come lo dipinge, ne'tantomeno scorretto. certo,non e' un guascone, non sara' un personaggio, ma metterlo addirittura al numero 3 nella classifica dei tennisti "da perdere" mi pare proprio una forzatura..

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non ho letto tutto, sono per la libertà di espressione fino a quando non si entra nelle offese di carattere spirituali, di conseguenza avendo citato Pasquale Bruno, Very Happy non ho dubbi che costui è un povero cretino che cerca notorietà "sparando merda" per fare notizia, stile Sgarbi.

Giulio Cesare diceva "tanti nemici molto onore",  ma è passato alla storia per le sue imprese, questo qui e tutti gli altri che cercano notorietà attraverso il "guerrilla marketing" vanno dimenticati prima possibile. AUGH

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Visto che alcune previsioni le ho sbagliate, vedere che alcune le ho azzeccate mi fa piacere. Colgo l’occasione per fare un mea culpa perché tra quelle che ho sbagliato una riguarda Seppi. Avevo detto più volte che Seppi non sarebbe mai entrato nei primi 20 ed invece ci è riuscito e gli faccio tutti i miei complimenti. Seppi non mi è mai piaciuto e non mi piacerà mai come tennista, però la correttezza, la resistenza alle critiche, la tolleranza alle battute che ha avuto Seppi in carriera l’hanno avuta pochissime persone. Io sono stato querelato per cose molto molto più leggere, ed invece a Seppi due o tre botte eccessive gliele ho date e lui ha sempre reagito con garbo e correttezza. Mi fa sinceramente un enorme piacere constatare che tutto quello che poteva spremere dalla sua carriera lo ha fatto.


- [Sulla visibilità del tennis] Non gli viene dato il giusto spazio né in televisione né sui giornali. Grazie alla rete qualcosa è migliorato. In tv negli ultimi anni ci salviamo con Super Tennis, che è criticato da tanti ma che salvo sempre perché fa vedere moltissimi tornei che altrimenti non avremmo occasione di vedere se non in streaming. Sky fa vedere sempre meno cose, basti pensare che dà solo uno Slam su quattro. Gli altri tre Slam sono trasmessi da un ottimo canale come Eurosport composto da grandi giornalisti come Lo Monaco, Ferrero e Cazzaniga. Purtroppo il tennis è uno sport non televisivo perché non può garantire la durata. La situazione è più grave sui giornali e sulle tv generaliste, dove il tennis è considerato ingiustamente uno sport minore e se ne parla solo se un italiano vince. Tenendo conto che noi da Panatta in poi non abbiamo più avuto un top ten, il tennis riceve uno spazio marginale e quando se ne parla lo si fa solo di Federer e dei big. Io credo il tennis sia pieno di belle storie e secondo me occorre parlarne, cosa che invece viene fatta benissimo in rete. Questa sorta di campanilismo che abbiamo avuto anche con lo sci, il nuoto e la moto Gp, è un atteggiamento provinciale. Non si riesce a far capire ai direttori dei giornali che il tennis è bello indipendentemente da chi vince.


- Se avessi la possibilità di intervistare un campione, di oggi o di ieri, chi sceglieresti?
Scusa la risposta banale, ma di sicuro John McEnroe. Quel tennis aveva tantissimi personaggi ed io mi toglierei lo sfizio di intervistare chi più di tutti è stato capace di emozionarmi. Oltre a McEnroe ti direi Edberg, Connors, Cash, Leconte e Korda. Dei tennisti attuali sicuramente Federer, anche se non è proprio un mattatore davanti ai microfoni. Tsonga mi divertirebbe e Simon, che secondo me nelle interviste è uno dei più stimolanti. Infine, ho un debole per Kyrgios perché a Wimbledon mi ha divertito da morire.


Su Federer: 


Articolo sulla finale di Wimbledon 2008 (Nadal b. Federer):



Domenica a Wimbledon, non è morto nessuno, men che meno il tennis. E' solo finita la Monarchia Assolutista del Re Frigidaire. E' morto il Re, viva Nadal.
Il tennis è in lutto. Cioè, no. Lo sono molti federeriani. La vittoria a Wimbledon li ha oltremodo afflitti. Il loro dolore è inconsolabile.
Teoria federeriana vuole che, con Nadal trionfante ai Championships, il tennis sia morto. Una sciocchezza colossale, e spiace che a far parte del cordoglio generale ci sia anche Giancarlo Dotto, che pure di estetica si intende, avendo per anni frequentato (con ottimi risultati) quel grande artista che era Carmelo Bene. Dotto, sulle pagine de La Stampa di lunedì, ha vergato il coccodrillo di Federer, tratteggiandolo come ultimo baluardo del tennis classico, tragicamente caduto sotto i colpi del mortaio nadaliano, lui che “negli ultimi sei anni aveva cesellato la sua meraviglia privata, il suo Taj Mahal”. Sì, come no.
Se fossi amante del pensiero omogeneizzato (più che omologato), dei luoghi comuni e pure del manicheismo, che vuole sempre tutto diviso tra bene e male, giusto e sbagliato, bello e brutto, senza mezze misure, potrei anche partecipare al bizzarro cordoglio per un multimiliardario che da domenica scorsa dovrà convivere con l’inconsolabile dolore di una sconfitta a Wimbledon dopo cinque (dicasi cinque) vittorie consecutive. Soprattutto: se il tennis lo vedessi solo due-tre volte l’anno, magari basandomi giusto sugli highlights, potrei anch’io affermare che Federer è “Il” tennis e Nadal rappresenta invece “il volgo”, la depravazione muscolare del tennis, la tamarraggine senza un briciolo di talento e pure - già che ci siamo, ché anche a questo alludono - in odor di doping.
Sarebbe facile, ma non sarebbe vero.
Rafael Nadal, vincendo Wimbledon, non ha sporcato alcun albo d’oro. Proprio a volerlo, si potrebbe affermare che “il tennis è morto” (ma che vuol dire, poi?) per altri motivi: perché il padre edipico di Seppi (Rainer Schuettler) ha raggiunto le semifinali a Wimbledon; perché l’hooligan prestato al tennis (Andy Murray) ha estromesso uno degli ultimi (veri) baluardi del tennis da ebanisti (Gasquet, non Federer); o perché tra i top ten continua a esserci David Ferrer. Ma Nadal, no: non ha usurpato alcun trono. Non ha sporcato i verdi pascoli. Non è accusabile di eresia. Al contrario, e lo scrivo da non nadaliano, ha vinto Wimbledon con un anno di ritardo (nel 2007 convinse in finale molto più dello svizzero), contro un avversario che poteva essere (ma non è) il più bello del reame, e che forse verrà ricordato come il più medagliato tra i Re.
Nel loro tanto inconsolabile quanto buffo (e un po’ tragicomico) arrovellamento mistico, i federeriani si ergono a difensori del “vero tennis” immolati in difesa dell’ultimo fortino edonistico. Loro sono le guardie, Federer è Fort Apache. Immagine perfetta per gli anchorman con le camicie old british e gli opinionisti un po’ snob, ma gigantesca bufala.
I quasi-esteti dicono che Nadal oltraggia l’erba (cioè terba, caro Dotto: terba). Che è un pallettaro, che non va mai a rete, che uno così “brutto” non era mai stato premiato dai Kent. Ohibò, dov’era tutta questa gente quando Wimbledon lo vinceva uno come Hewitt, che di Nadal è (se va bene) cugino di terzo grado? E ancora, se componenti irrinunciabili del vero erbivoro sono il gioco di volo, il serve and volley e il chip and charge, volete dirmi che uno come Agassi andava a rete più di Nadal? E quello svedesone, pure lui lungocrinato, che Wimbledon lo ha vinto cinque volte, tale Bjorn Borg, era forse un feticista di volèe?
Siamo di fronte a una delle più grandi mistificazioni del vero: Federer=Bene, Nadal=Male. Rafael Nadal era forse “solo” un muscolare, un atleta con racchetta, un mero pallettaro nel 2005, quando su erba faceva ridere e perdeva da Gilles Muller. Disse, al tempo, “voglio vincere anche su erba” e tutto risero: ora ridono un po’ meno. Nadal, in tre anni, è migliorato tecnicamente, tatticamente. Non solo fisicamente. E’ stato umile, si è applicato, si è abbellito. L’esatto contrario di Federer. Ha pienamente meritato un titolo epico, che avrebbe conquistato in tre set senza la prima interruzione per pioggia. E’ stato encomiabile per tenuta mentale dopo gli sprechi (per lui inconsueti) nel tiebreak del quarto. Ha condotto il match dall’inizio alla fine. Non ha sporcato alcun albo d’oro. Non ha bestemmiato in Chiesa. Non ha offeso alcun senso dell’estetica. L’unico “scandalo” è che uno come lui, il più forte numero 2 della storia Open del tennis, il primo dai tempi di Borg a realizzare la double Roland Garros + Wimbledon, non sia (ancora) numero uno nel mondo.
Epperò, sento gridare alla lesa maestà: sono i soliti federeriani piangenti, incapaci di perdere per conclamata disabitudine alla sconfitta. Dicono: come può questo orrido clavatore meritare il trono del mondo? Scherziamo? No, non scherziamo affatto. Era (forse) più accettabile e “giusto” vedere sul tetto del mondo tennisti come Muster e Courier, Ferrero e Moya, Hewitt o quello tsunami estetico che è stato (ed è) Roddick? Nadal, la leadership mondiale, la merita appieno. Come merita Wimbledon. Chi nega il suo talento, i miglioramenti, le qualità eccezionali, o è cieco o federeriano. O entrambe le cose, non di rado a braccetto.
Certo, mi direte: la questione estetica. Eh, ma Roger Federer è IL tennis. Eh, ma Federer è quello col cardigan, quello col completo bianco vintage (e i pantaloni al contrario, come alla premiazione di un anno fa: la fidanzata Mirka si era dimenticata di vestirlo). Eh, ma Federer è “il genio che non sopporta l’idea oltraggiosa di un mondo volgare”, per dirla con Dotto. Lo stesso Dotto ci ricorda, quasi a rivelarci un’agnizione miracolistica, che addirittura David Foster Wallace si è preso “non so quante pagine del New Yorker per raccontare a se stesso lo choc di un colpo impossibile” inventato da Roger Federer nella finale degli Us Open 2005. Embè? Non so se Wallace ha la parabola (intesa come dotazione televisiva, non metafora letteraria) e quanto guardi il tennis, ma vorrei informarlo che “non so quante pagine” le vorrei comprare anch’io, saltuariamente, per spiegare a me stesso colpi accecanti. Raramente di Federer, però: servivano 38 pagine di Repubblica per spiegare la pentecoste di un rovescio da dietro di Tipsarevic contro Safin a Mosca 06; serviva gran parte di Tuttolibri per raccontare i primi due set - non un colpo: tutti i primi due set - di Misha Youzhny contro Nadal a Wimbledon 07; e avrei avuto bisogno della Treccani omnia per tratteggiare i folgoranti bagliori di Gasquet contro Federer a Montecarlo 05.
Il coro vedovile dell’algido svizzero si rassegni. La storiella che nel tennis contemporaneo il bello equivale a Federer, l’ultimo Federer, è una bugia con le gambe corte, mette quasi tenerezza. Dotto, come Gene Gnocchi e gran parte dei federeriani, non parlano del vero Federer: parlano dell’idea che loro hanno di Federer. Dell’ologramma di Federer, del simulacro di Federer. Il loro Federer è un sogno idealizzato, un archetipo effimero, ben poco simile a quello reale. Qualcosa che non esiste.
Non nego che sussista un problema sul futuro del tennis, sempre meno tecnico e sempre più muscolare: è indubbio. Ho però seri dubbi che il baluardo del “bel tennis” sia Federer. Questo Federer. Quello che si è deliberatamente normalizzato, abbrutendosi in cambio della vittoria perenne, dal 2006. E forse anche un po’ prima.
Roger Federer, esteticamente parlando, è ciò che poteva essere e non è stato. Uno straordinario “ragioniere di talento”, secondo la definizione folgorante che Michele Serra diede una volta di Michael Schumacher. Tanto fortissimo (sia chiaro: fortissimo) quanto algido, tanto dittatoriale quanto calcolatore, tanto cannibale quanto impiegatizio.
Il Federer che elargiva beltade è morto nel 2003, forse nel 2004. Poi ha sacrificato tutto in nome della vittoria, del feticismo da record: vinco quindi sono. Il cartesianesimo dei cannibali. Il Federer degli ultimi due anni vive principalmente dello schema meno accattivante: servizio e dritto. Di chi parliamo, di Federer o di A-Rod? Senza prima di servizio, perderebbe con tanti. La sua miopia (pardon: supponenza) tattica rende Tursunov quasi un luminare del circuito. A rete ci va (da anni) meno di Chesnokov. Di rovescio stecca come se piovesse. Negli scambi da fondocampo, con Nadal, mette quasi tenerezza (eppure lui insiste, perché è un suo must voler sempre dimostrare che lui “ce l’ha sempre più lungo”). Se gioca con un rematore, rema pure lui. Se gioca con un volleatore, vollea anche lui. Se l’altro battesse la seconda da sotto, lo farebbe anche lui: per dimostrare di saper fare tutto meglio dell’altro. Un tennista-simbionte, perennemente alla prese con la sottolineatura del proprio ego.
Mi si dirà: eh, ma ogni tanto gioca bene. Certo che gioca bene: con quel bagaglio sovrumano di genialità, lo farebbe anche per “disgrazia”. Ci mancherebbe altro. Stiamo parlando di un f-e-n-o-m-e-n-o. Gli accade ancora, soprattutto quando trova il vassallo di turno, sdraiato a pelle d’orso, ben predisposto al supplizio. Il Blake della situazione, oppure l’Ancic della bisogna (uno che vive di rendita da 6 anni, dopo “quella” vittoria a Wimbledon). E’ allora che Federer sale sterilmente in cattedra, dispensando perle di talento liofilizzato, increspando bambinescamente il volto quando il vassallo osa evitare lo 0-6, punteggio che notoriamente Federer ama di più, in quanto plateale ostentazione del proprio indiscutibile strapotere.
Dotto, come Bene e tanti altri (me incluso), ama quel mix rarissimo di estetica e umanità, rivoluzionarietà e vulnerabilità. Spiacente, caro Giancarlo, quello stampino lo hanno buttato via dopo Muhammad Ali, Stefan Edberg e Van Basten . C’è chi preferisce l’epica, chi la dittatura. C’è chi rimane forever young e chi invecchia anzitempo.
Bob Dylan, a cavallo dei Settanta, rinacque in Cristo. Roger Federer, all’inizio del XXI secolo, è rinato cyborg. La sua bellezza risiede ormai nella freddezza seriale degli aces che grandinano in coincidenza con palle break da salvare o tiebreak da dominare. Un po’ poco per gridare, adesso, al tramonto dell’estetica. Certo, se non avesse assecondato questa brutale razionalizzazione, se ancora spaccasse racchette, se ancora andasse più a rete, se ancora inseguisse la genialità estemporanea (quella di cui anzitutto Dotto parla), avrebbe vinto di meno. E’ vero. Sono scelte del tutto legittime, ed è anche vero che un Federer normalizzato è comunque più bello da vedere del 90 percento dei contemporanei, avendo in dono un talento inaudito. Non è facile rimanere fedeli a se stessi. D’accordo. Ma lasciamo stare la questione estetica, please. Aggiungendo, neanche troppo a margine, che se anche Federer avesse vinto di meno, avrebbe certo scardinato più cuori.
Vi chiedo: desta più “scandalo” un grande atleta che non si accontenta dei suoi muscoli, o piuttosto uno smisurato artista che tradisce il proprio talento? Nadal non si è mai presentato come il Custode della tradizione. Non è mai stato un Prescelto. Lui è muscoli e tic, grinta e sudore, talento (che ne ha) e occhi di tigre. Lo si dica: la “bellezza” oggi risiede più in lui che in Federer. E’ un falso anche l’idea che la finale di Wimbledon sia stata la partita più bella degli ultimi 20 anni: è stata splendida dal tiebreak del quarto set a tutto il quinto. Cornice, andamento e pathos hanno sicuramente contribuito a rendere l’incontro definitivamente epico. Il livello dei primi tre set, però, non era stato all’altezza dei protagonisti. La semi degli Australian Open 2005 tra Federer (un Federer ben migliore) e Marat Safin, per dirne una, fu di un altro pianeta.
E Roger? Be’, lui sì che era il Prescelto. Lui sì che poteva essere “La” bellezza. E’ stato, al contrario, mero contabile di se stesso. Il Despota dai modi affettati che in conferenza stampa dispensa caramelline alla plebe (“Bolelli vale i top ten”, “Seppi mi è piaciuto”, “Querrey è un grande tennista”) ma in campo, tra espressioni stalagmitiche e reazioni stizzite quando i vassalli non lo riveriscono a sufficienza, incenerisce lo sparring partner per minargli la mente, accrescergli il complesso d’inferiorità o punirlo di lontane sconfitte ai tempi junior.
Federer, nato come scapigliato, come scapestrato, come fenomeno di totale rottura, si è anestetizzato al punto da divenire una sorta di Veltroni vincente: politicamente corretto ed ecumenico, sussiegoso e maanchista, tutto e niente, presuntuoso e tatticamente suicida. Educato, buonista, all’apparenza buono e in campo sadicamente vendicativo. Ben vestito, apparentemente acculturato ma ignaro di Freud (e sì che conoscerlo gli farebbe bene, considerate le regressioni psichiche di cui soffre al cospetto di Nadal). Narciso fino alla patologia, sempre intento ad addomesticare (pure) il ciuffo. Persino i suoi brufoli cercano il profilo migliore delle telecamere.
L’intoccabile Roger ha frainteso la bellezza col palmares. Ha inseguito unicamente i record. Perdendo per strada l’incanto. Ovvio che, adesso, le logore copertine di Linus dei federeriani volino via, mostrando una realtà dei fatti ben lontana dall’agiografia di regime di cui da anni gode Federer.
La sua sconfitta non deve portare lacrime. Nadal è stato il partigiano che ha liberato il tennis dalla dittatura del grande sbadiglio, scrivendo trame (finalmente) dall’epilogo diverso. Ha permesso che negli ultimi tre anni non ci si addormentasse definitivamente, tramortirti da un Re col carisma di Memo Remigi e una pletora di vassalli sterili e promesse non mantenute. Diventerà numero uno, poi gli subentrerà (a lungo) il situazionista del medical time-out, Novak Djokovic. I federeriani sgomenti si tirino su: il loro beniamino continuerà a vincere, perché tutto è fuorché finito: semplicemente, vincerà un po’ meno. E per il tennis, che come tutti gli ambiti del vivere mal sopporta le dittature, sarà un bene. Niente uccide la passione come l’abitudine.
Imparerà (forse) la sconfitta. Litigherà ancora con il suo simile, Hawk Eye, in una lotta tra computer come neanche nei romanzi di Isaac Asimov. Chissà, magari tornerà più leggero e meno ingessato. Ma non sarà mai l’emblema unico del tennis classico e puro, estetico ed estetizzante. E non lo sarà perché lui ha deciso di non esserlo. Se cercate il Fort Apache dei panda, bussate casomai a una porta cigolante di Beziers, o riguardatevi i Leconte e le Novotna che furono. E pazienza se alla fine avrete poche coppe da alzare: non di soli trionfi si vive.
Roger Federer ha modellato faticosamente se stesso per divenire lo Schumacher del tennis, l’Indurain della racchetta, il Beckenbauer dell’Atp. Uno di quelli che vincono, rivincono e stravincono: fenomeni assoluti, che però non accendono. “Colletti bianchi”, li chiama Vladimir Dimitrijevic. Superuomini troppo presi da se stessi e dai loro trionfi per accorgersi che al pubblico, al volgo, ai comuni mortali, sarebbe bastato anche molto meno. Magari un Galibier sotto la pioggia.
Domenica, a Wimbledon, non è morto nessuno, men che meno il tennis. E’ solo finita la Monarchia Assolutista del Re Frigidaire. E’ morto il Re, viva Nadal.





Articolo dopo la sconfitta di Federer con Berdych a Wimbledon 2010: 

Finisce a Wimbledon la dittatura algida di Roger Federer. Un Campione Freddo. Che, dopo la sconfitta con Berdych, frigna un'altra volta e insulta i giornalisti. Il tennis è alfine libero?


"Sul tennis sta per scendere l'oscurità", "E' finito il sogno", "Il tennis è morto". Sono alcuni degli adorabili commenti che, da ieri pomeriggio, rallegrano il web. Piangono, i federasti, l'evaporazione agonistica del loro semidio. Si rammaricano, da ligi pretoriani, del crollo del loro Duce.
Poco conta che il semidio di cui sopra, Roger Federer, giocasse da almeno tre anni come un Karlovic evoluto. Che non fosse da anni "La Bellezza". Che dal 2008 non meritasse più Slam, e se li ha vinti è stato per bravura, ma anche fortuna (la mezza riga con Haas al Rolando 2009) e vassallaggi sommamente empi (la volèe agricola, e vergognosa, di Roddick a Wimbledon 2009).
Roger Federer, all'anagrafe Frigo, poteva essere l'eroe iconoclasta e folle. Lo era a inizio carriera, i capelli lunghi e le racchette spaccate. Poi, colpevolmente, ha barattato la sua anima per divenire mero contabile di se stesso. Feticista collezionista di record, dittatore efferato (ricordo mattanze sanguinose, 6-0 col sangue alla bocca al Tim Henman di turno, solo perchè all'incontro precedente il servo non si era inchinato abbastanza). Uomo col carisma di un battipanni dal naso generoso e il ciuffo eletto a unica parte ribelle di un corpo asettico e un'emotività robotica: algida, frigida. Compagno di Mirka, ex tennista e oggi matrona ingombrante al suo angolo, pronta a sgranare rosari - e ancor più anelli diamantati - perché il suo [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] in [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] fluttuasse ulteriormente.
Roger Federer, Grande Tomba della Passione, Beckenbauer dei Gesti Bianchi, è alfine caduto. Nel suo ex giardino di casa, dove non perdeva prima della finale da otto anni. L'avvisaglia era stata Halle; Hewitt ci aveva detto di sperare: ci aveva detto giusto. Abbiamo dovuto attendere sette anni, sette lunghissimi anni fatti di finali senza storia, di Ferrer e Baghdatis irrisi, di one man show onanistici (gli stessi che oggi i federasti, presunti amanti del tennis e in realtà interessati giusto al Dominio, hanno il coraggio di rimpiangere). E' stata la Dittatura dello Schumacher della racchetta, del Principe Perfettino che ha vinto tanto (16 Slam) perché forte (senz'altro) e perché senza avversari (senz'altro). Il Grande Freddo, direbbe Kasdan. La Grande Noia, dico io.
Esaleranno adesso, quei federasti che fino a ieri neanche sapevano cosa fosse questo sport: "Lui era il tennis" (sì, giusto declinerlo al passato). Lo era soltanto per chi non ha mai visto i McEnroe e gli Edberg. Federer non era Il Tennis: era Michelangelo Antonioni che gira sempre la stessa sequenza e si compiace dell'applauso. Era il rock progressive, era esercizio di stile, era rock senza sangue. Era le scale supersoniche alla Steve Vai. Era i Genesis senza Peter Gabriel, i Pink Floyd senza Barrett e Waters. Era un Supertuscan che piace a Robert Parker. Era una lunghissima masturbazione tennistica, protetta da stampa (e telecronisti, e scribi, e osservatori) mai così banali, acquiescenti e servili. Era il despota, il monarca assolutista, il Corretto-solo-quando-vince. Era il Re Frignone. Ha pianto poco, perché da soli non si ha quasi mai motivo per piangere (non se si è robot). Giusto Rafael Nadal - sempre per questo sia lodato - lo ha trattato per quello che era in campo: un primo della classe che concepisce la sconfitta come affronto degli dèi (di cui si sente, come minimo, parente stretto).
Quante volte abbiamo dovuto sopportare gli sproloqui anonimi dei suoi fans, quelli più volgari (fortunatamente non tutti), pronti a citare DFW anche se mai (ovviamente) lo avevano letto. Quante volte abbiamo visto i suoi avversari pronti a inchinarsi un attimo prima del traguardo. Quante volte è stato ucciso il tennis: più ancora, il pathos.
Si gioisca, dunque, oggi. Si esulti, finalmente scevri dal politicamente corretto: il tennis è libero. Pelizza da Volpedo è ora l'autoritratto dell'Atp. Da tre anni Federer era quasi uno qualunque due set su tre. Rimaneva, però, il feudo degli Slam. Feudo pesante. Nadal gli ha regalato il Rolando (con la compiacenza del boscaiolo Soderling), il britannico part time Murray gli ha donato l'ultimo (si spera) Melbourne. Di Roddick si è parlato anche troppo.
Oggi no: oggi è finita. Oggi vi è gloria e vi è lode. Oggi gli Alleati arrivano a liberarci. La Linea Gotica è saltata. Oggi si vota Repubblica e non più Monarchia. Se ci fosse una giustizia, Federer avrebbe perso al primo turno con Falla, sul 5-4 e due set avanti per il colombiano. Al quarto set. La caduta sarebbe stata più rovinosa. Non c'è stata giustizia, solo vassallaggio di Alejandro. La trama di sempre, che stava per ripetersi ieri, quando Berdych (che resta lo sparapalle efebico che era, esteticamente sopravvalutatissimo, ma assai forte se vuole) è andato a servire sul 5-4 quarto set. Corsi e ricorsi storici. Due stecche, 15-30. Lì, forse, la sliding door: Berdych che recupera due palle incredibili, poi mette una volèe sulla riga. Fosse andato sul 15-40, avrebbe perso la partita. Non si sa come, Federer ha avuto una palla break. Sulla seconda di servizio. I federasti, mai satolli di trionfi cannibali, a quel punto ci hanno sperato. Insensibili a una minima giustizia storica. Quanto dev'essere stato affliggente, dopo, il loro dolore. Per fortuna, in uno dei momenti più giusti della storia del tennis, Roger Federer ha affossato la risposta come un figurante qualsiasi. Andate a riguardare quell'immagine, guardate quelle di questa pagina: è il 25 aprile. E' la Libertà, che non è star sopra un albero e neanche il volo di una Mirka: libertà non è un Frigo libero: libertà è quando Federer perde (semi cit).
Si dirà ancora: troppia gioia in questo de profundis. In fondo i sostituti, esteticamente, mica sono Laver e Rosewall. Vero, ne convengo. L'immagine del Dittatore, va da sé, è poi solo una metafora ironica e provocatoria. Non prendetevela, federasti. E' un gioco: Roger Federer è un numero 3 al mondo meritevole. Ne siate orgogliosi. E' stato Campione immenso, parlano per lui colpi e palmares. Eppure è lecito, anzi doveroso, essere felici. Di più: ilari. Per sette anni ci hanno fatto credere che al mondo esistesse solo Frigidaire. Hanno fatto scempio della suspense e dei tanti che sanno giocare. Delle piccole favole, degli orteghiani, dei figli di Dio minore. Ora che Federer non c'è quasi più - attenzione: qualcosa di pesante lo vincerà ancora -, i ballerini di seconda fila avranno più spazio.
Ieri sarebbe stato un giorno pienamente meraviglioso se, oltre a Frigo, avessero perso pure Nadal e Murray. Non è però colpa loro se hanno vinto. Tsonga ha smesso di giocare sul 7-6 6-6 e 5-4 due servizi, come un Gaschetti qualsiasi. E Soderling, in pieno controllo del match, è stato travolto per aver svegliato il Nadal che dorme: ieri fu la smutandata, oggi un errore arbitrale. E a nulla (anzi, a un break) è servito il medical time out carognesco chiamato quando era sotto 4-5 nel terzo set (lo vedete, nadaliani: mi accorgo anche quando a essere scorretto non è Nadal. E' la fortuna di non essere né federasta, né nadaliano).
Del futuro parleremo (per la cronaca, auspico una finale Nadal-Berdych e lì vinca chi vinca. E grazie ancora a Lu per aver chiuso la carriera ad alti livelli di Visiera Gocciolante). Ora è tempo di abbracciarsi tutti (cit). Di scendere in piazza e festeggiare la ritrovata democrazia. Peraltro, è caduta pure la favoletta del Federer "buono e gentleman". Certo, buono e gentleman, sì, ma solo quando vince. Quanto è facile essere corretti quando non si perde mai. Federer è sempre stato un conpiaciuto adoratore di se stesso. Uno di quelli che mette su il muso se al compito prende 7 e non 9. Il secchione dell'Atp. Un robottino creato da Isaac Asimov che litiga con Hawk Eye perché vede in lui un suo simile: litigio tra microchip. A Melbourne 2009, in una di quelle istantanee che ci rallegrano quando siamo tristi, aveva frignato e detto che "questo dramma mi uccide dentro", inscenando la caricatura dell protagonista di Ho visto un Re di Dario Fo (quello che piange se gli tolgono un castello dei 32 che lui aveva). Ieri, in conferenza stampa, tra una lacrimuccia dorata e l'altra, vestito come una damigella d'altri tempi, ha dato la colpa della sconfitta al mal di gamba e spalla. Ha accampato alibi, da bravo epigono di Schumacher e Capello (e di George Bush, di cui - par giusto ricordare - si disse una volta grande estimatore). Lungi da riconoscere i meriti di Berdych, ha poi sfanculato una giornalista ("Torna a casa a fare i compiti"). E così ha fatto con altri. Hanno scritto: caduta di stile di Roger Federer. No: Roger Federer è sempre stato questo. Signorile quando tutti lo glorificano, bambinesco quando qualcuno ne scopre i bluff.
Che la sua caduta - sportiva, per carità - sia lenta. Che ritrovi quell'umiltà, e quella sofferenza, che a inizio carriera lo rendevano così piacevolmente diverso. Che perda fino al punto da tornare Uomo: fallibile e tifabile. Che ci sia Nemesi. Ne soffriranno fanboy e pretoriani, gente che non ha mai contato nulla di fronte alla Storia. Ne beneficerà il tennis. Magari, chissà, potrà pure tornare (o nascere) la voglia di tifare Roger Federer.

Articolo sulla finale di Wimbledon 2014 Djokovic-Federer, vinta dal serbo:

Non senza una sua logica, lo sportivo che ha barattato tutto per la vittoria è tornato definitivamente indimenticabile in una sconfitta. Peraltro dolorosissima, perché coincisa con il treno (l’ultimo?) per conquistare il 18esimo Slam. Un treno perso nel giardino che più ama, al termine di cinque set (6-7 6-4 7-6 5-7 6-4) e quattro ore giocate a un livello impossibile per chiunque altro. Chiunque tranne lui, Roger Federer, 33 anni ad agosto. E tranne Novak Djokovic, che lo ha battuto. Spettacolo puro. Da ragazzo Federer era uno scapigliato, si ossigenava i capelli e spaccava racchette. Poi, scientemente, la metamorfosi: da folle a robot, da Villeneuve a Prost. Un calcolatore di smisurato talento, così algidamente perfetto da ricordare un disco suonato splendidamente – magari dai Pink Floyd senza né Barrett né Waters – ma esangue. Bello senz’anima, da rivoluzionario mediamente lunatico a dittatore garbatamente efferato. Un collezionista di record, con frotte di appassionati pronti a garantire che “Re Roger è il tennis” e guai a contraddirli: o Federer o il diluvio, in fondo “lo ha scritto anche David Foster Wallace” (e lo ha scritto benissimo). Per anni interminabili ha giocato e vinto da solo, in una dittatura ricca di esercizi di stile e avara di avversari realmente credibili. La sua kryptonite, la prima e la più tremenda, è stata Rafael Nadal. Il granello di sabbia che inceppa il cyborg. Trovatosi dinnanzi all’eterno bivio se restare fedeli a se stessi – fino al punto da implodere – o scendere a patti con la razionalità, Roger ha legittimamente preso la strada opposta a quella di Gilles. Si è così assuefatto al trionfo da frignare quando gli capitava di perdere, per esempio dopo la finale agli Australian Open 2009; indossò il broncio dei bambini e per poco non portò via il pallone, anzi le palline. Narciso del gesto bianco e goloso del dominio, così anacronistico da risultare modernissimo. Dopo la defenestrazione, per mano di ex sudditi molto meno eleganti di lui, Federer – nuovamente umano – ha rallentato lo scorrere del tempo e chiesto aiuto a Stefan Edberg, il divino frainteso da Galeazzi per “tacchino freddo”. Domenica, sugli spalti, si è riproposta la stessa finale che caratterizzò Wimbledon tra 1988 e 1990: da una parte Stefan e dall’altra Becker, oggi allenatore di Djokovic. E’ finita come nell’89, però con più magia. Forse, per tattica e per osmosi, Edberg gli ha consigliato di tornare semplicemente splendido: di andare più volte a rete, di non specchiarsi come uno Steve Vai smanettone della racchetta. Roger lo ha fatto, regalando un tennis a tratti irreale e costringendo Djokovic a una prestazione forse anche per lui irripetibile. Il quarto set di domenica andrebbe mostrato nelle scuole come saggio di estetica. E’ stato uno dei Federer più belli di sempre, ed è un giusto contrappasso – per un ex dittatore come lui – che un tale scintillio abbia avuto per premio una sconfitta. Se è questo il Roger del futuro, lunga vita a Roger. Non più Re, ma neanche patriarca stizzito. Casomai Don Chisciotte, in cerca degli ultimi mulini da vento.


Intervista recente a Scanzi:
Proprio di Federer volevo parlarti. Nel mondo del tennis molti appassionati ti “odiano” per il fatto che da sempre più o meno hai criticato, talvolta anche aspramente, lo svizzero. Perché provi questi sentimenti verso Federer? E’ una domanda che molti ti avranno già posto, ma è quasi obbligatorio farlo.
Grazie della domanda, così chiariamo una volta per tutte questa situazione. Federer non l’ho mai odiato. Lui è uno dei più grandi della storia, anche se non è il più grande. L’ho criticato spesso, ma ho criticato prima i federeriani che Federer stesso perché negli anni dal 2004 al 2008, in cui scrivevo più di tennis, io mi rompevo enormemente le palle perché non sopporto le cose che hanno una trama scontata. Detesto i dittatori, detesto chi vince sempre e detesto gli spettacoli di cui già è chiaro il finale. Federer, invece, per quattro o cinque anni mi ha frantumato le palle perché vinceva sempre e solo lui. Non gli faccio chiaramente una colpa per questo, però mi annoiava tremendamente. Quando poi sono arrivati giocatori molto distanti da lui come stile, come ad esempio Nadal, io sono stato contento non perché fossi un tifoso dello spagnolo, ma perché anche quel ghiacciolone apparente (perché in realtà non è per niente un ghiacciolone) come Federer poteva anche perdere e questo secondo me ha aiutato lo spettacolo. Poi a me piacciono quelli “belli & dannati”, lui all’inizio era molto bello ed anche abbastanza dannato, ma per vincere si è trasformato in una sorta di Prost (ed io tifavo Senna). Per arrivare al presente, io non solo non lo odio più, ma da quando è seguito da Edberg e da quando non è più numero uno del mondo, mi sta molto più simpatico perché è tornato umano, perfettibile ed è anche più bello da vedere visto che con Edberg va più spesso a rete e cerca subito la soluzione vincente. Non sarò mai un tifoso di Federer, ma oggi lo sento sicuramente più vicino. Questa è la mia evoluzione del rapporto con lo svizzero.

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Passando più dettagliatamente al tennis. Sarai appassionato di molti sport, ma secondo te cosa ha in più il tennis in relazione alle altre discipline. E cosa, invece, non ti piace e cambieresti?

Il tennis è lo sport che amo di più, lo è sempre stato. Non sono poi molti gli sport che mi appassionano. Ora come ora amo il tennis ed il calcio, anche se in passato ho seguito molto le moto, la formula uno, il volley ed il basket, però i due grandi amori sono tennis e calcio in quest’ordine. Il tennis c’è sempre stato nella mia vita, credo sia “colpa” di McEnroe e di Edberg. In più degli altri sport, probabilmente il tennis ha il fascino della sfida personale, del duello, della battaglia spietata tra due psicologie contrapposte. E’ lo sport più cattivo di tutti, lo sport del diavolo come dicono in molti, serve un coraggio incredibile, serve una tenuta mentale straordinaria, serve talento, serve fisico. Credo sia uno dei pochi sport adatti all’epica ed alla narrazione e non è un caso che David Foster Wallace abbia scritto quelle meravigliose pagine su Federer. Oggi credo sia l’unico sport ancora in grado di far innamorare il pubblico ad un personaggio, anche se non è più quello degli anni ’80.

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Scanzi è un uomo intelligente, ed un giornalista capace.

Ma, di tennis, non capisce un emerito caxxo.

Sic et simpliciter.

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Cesare ha scritto:
Personalmente,mi trovo spesso d'accordo con Scanzi, personaggio"multiforme" che nasce dal giornalismo musicale per arrivare poi a quello di costume e politico.E'un grosso appassionato di tennis,ma da qui a definirlo un esperto ce ne corre. Sulle sue disamine sui giocatori, soprattutto quelli recenti,non mi trovo d'accordo sulla mezza stroncatura di Wawrinka.Non mi pare cosi'antipatico come lo dipinge, ne'tantomeno scorretto. certo,non e' un guascone, non sara' un personaggio, ma metterlo addirittura al numero 3 nella classifica dei tennisti "da perdere" mi pare proprio una forzatura..

Era un articolo di alcuni anni fa, quando Wawrinka era top 20 fisso con occasionali incusioni in top 10.

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è un letterato (http://it.m.wikipedia.org/wiki/Andrea_Scanzi), lo rispetto come tale, sinceramente mi è utile se voglio interpretare la realtà con una visione letteraria, intrensicamente inutile ma intellettualmente stimolante.

Se voglio invece parlare di sport, meglio uno sportivo, di sta gente che guadagna descrivendo di cose di cui non capisce nulla siamo pieni, io non ne posso piu' mi pare come la storia che per essere dei bravi studenti di medicina devi aver fatto il classico, una cazzata tutta italiana.

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Di Scanzi ho letto molto,  soprattutto sulle pagine del Mucchio Selvaggio. 
Penna estremamente sublime ma mi ha sempre trasmesso una buona dose di boria.

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tispringo ha scritto:
Di Scanzi ho letto molto,  soprattutto sulle pagine del Mucchio Selvaggio. 
Penna estremamente sublime ma mi ha sempre trasmesso una buona dose di boria.


Essendo fondamentalmente un Radical Chic, anche se con meno puzza sotto il naso, alle volte corre il rischio di diventar un po' "elitario" e snob. Detto cio', ce ne fossero di giornalisti cosi' sagaci ed acuti.

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Un po' si diverte e un po' ci crede...
Quando si prenderà meno sul serio diventerà credibile.

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io sono più crudo... per me quelli che usano la penna in questo modo sono da eliminare... è chiaro che sto modo di scrivere è intenzionale per generare interesse, vendere pubblicità etc.. roba già vista... se qualcuno lo conosce me lo presenti per cortesia...Smile

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kingkongy ha scritto:
Un po' si diverte e un po' ci crede...
Quando si prenderà meno sul serio diventerà credibile.

Non è proprio di primo pelo, credo sia difficile ormai cambi stile, anche perché è quello che gli ha procurato notorietà.

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Tis...essendo intelligente, si rende conto di esser entrato in un loop stilistico "bizantino". 
Se vuole, cambia. Lo fanno in tanti. I migliori.

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tispringo ha scritto:
Di Scanzi ho letto molto,  soprattutto sulle pagine del Mucchio Selvaggio. 
Penna estremamente sublime ma mi ha sempre trasmesso una buona dose di boria.

Si faceva chiamare Rui, in onore di Rui Costa...

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zuck ha scritto:
tispringo ha scritto:
Di Scanzi ho letto molto,  soprattutto sulle pagine del Mucchio Selvaggio. 
Penna estremamente sublime ma mi ha sempre trasmesso una buona dose di boria.

Si faceva chiamare Rui, in onore di Rui Costa...

Avevo comprato a quel tempo anche un suo libro su Van Basten "Canto del Cigno".

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Basta guardare anche UN solo rovescio di Wawrinka per capire che siamo di fronte a un talento assoluto, che andrebbe ricordato e fatto vedere ai ragazzini per fargli capire che si può colpire a una mano da qualunque posizione e in qualunque situazione in maniera letale.
Detto questo Scanzi scemo non è, ma è sommario, demagogico e, in ultima istanza, penso non lo sopporti nemmeno sua madre.

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ThirdEye_ ha scritto:
in ultima istanza, penso non lo sopporti nemmeno sua madre.

Very Happy

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Scanzi è un arrivista intelliggente, furbo e scaltro, che sarebbe pure bravo, ma poichè usa quel suo stile saccente e ipercritico per fare più colpo e ottenere il rispetto degli stolti, lo relego a fenomeno da baraccone.

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da federeriano mi spiace che Roger abbia perso la finale con Djokovic l'anno scorso, peccato anche per quella finale di Roma 2006 con i 2 match point avuti da Roger, ma lo sport è questo nessuno è imbattibile..... l'attuale n.1 è noioso da guardare, prendiamo la partita di domenica sera, Roger ha fatto vedere del tennis, il back, la palla corta, la stop volley, quell'altro non le sa fare e se gli arriva un back quasi non sa cosa fare

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Anche a me Djokovic non trasmette emozioni,  fortissimo per carità e meritatamente numero 1 ma,  per quanto mi riguarda, è come paragonare Steve Vai  e Stevie Ray Vaughan.

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Nel senso che vuoi una racchetta rossa dipinta con il sangue di Djoko alla Steve Vai?

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Laughing. Preferirei avere tra le mani  la fender di SRV, di gran lunga.
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