Sono nuovo qui ma volevo approfittare per condividere una mia esperienza che probabilmente anche altri avranno vissuto, pur con le particolarità del caso. Bene cominciamo. Ho iniziato a giocare a tennis a 4 anni, forse 5, era il lontano 1997. Niente di eccezionale, forse ero all'ultimo anno delle scuole materne e non ricordo molto di quel periodo. Mi ci iscrissero i miei genitori, anch'essi giocatori amatoriali in passato, e cominciai con dei piccoli esercizi, con delle piccole padelle di legno del diametro di un centrino legate ai palmi delle mani con cui dovevo palleggiare. Pian piano, col passare dei mesi, passai alle racchette vere e proprie, anche se, guardandole adesso, sembrano dei giocattolini. La vera svolta cominciò quando iniziai ad avere la forza sufficiente per mandare la pallina al di là della rete. Da lì ne seguì un impostazione tecnica del tutto classica per l'epoca. Dopotutto il mio maestro era già un over 50 ed era stato un giocatore abbastanza fortino in gioventù. Feci anni di esercizi, anni in cui mi divertivo pur non essendoci niente di esaltante nel colpire birilli. Il movimento più complicato da imparare fu sicuramente quello del servizio. La posizione da tenere coi piedi era molto frontale e i piedi dovevano essere messi su una specie di y tracciata sul terreno. Dopo molti sforzi per coordinare tutti i vari movimenti riuscii a mandare la palla di là con costanza. Per quanto riguarda gli altri colpi, c'è da ricordare che non esistevano top spin, Back o mazzi vari. C'eri tu che dovevi mandare quella palla di là, senza sbagliare, e indirizzandola bene. Dopo di che arrivai in agonistica ad 11/12 anni. Progredii vertiginosamente in tutto e, col senno di poi, capisco che se per anni ti dicono di buttarla di là dandole una buona direzione e senza sbagliare o tirare catenate sui tendoni, forse c'è un buon motivo. Come dicevo progredii in tutto, tutto tranne il servizio. Passarono un anno o due e cominciai a fare tornei a squadre under 14, a fare i primi punticini e ad avvicinarmi ai tornei di quarta. Niente di esaltante sia chiaro ma anche passare il primo turno ogni tanto era una soddisfazione incredibile. Però un bel giorno in un torneo di quarta, al primo turno incontrai un vecchio di sessant'anni. Chiaramente lo presi sottogamba, dall'alto dei miei 13 anni, quale vecchietto poteva avere qualche possibilità di battermi? Beh il risultato chiaramente fu una sconfitta, non abbastanza disastrosa da essermi di lezione. Qualche mese dopo, lo ritrovai al primo turno in un altro torneo, questa volta ancora più sicuro di batterlo perché alla fine, se l'altra volta avessi giocato meglio l'avrei battuto facile. Beh diciamo che Pasqua arrivò in anticipo per me quell'anno: ricevetti due begli ovetti. E alla fine della partita mi disse: tu perdi per colpa della tua seconda.
Ebbene questa volta non potevo nascondermi dietro a una scusa. Ero incazzato, e decisi di imparare un servizio non attaccabile. Sono alto 1.70 per cui sapevo che la battuta non poteva essere un colpo d'attacco definitivo come per altri, ma volevo che se l'avversario avesse voluto attaccarmi sul mio servizio, lo facesse a suo rischio e pericolo. Ma da dove cominciare? L'illuminazione arrivò non da Federer o Sampras o Nadal ma da Lleyton Hewitt. Il suo servizio mi sembrava il più lineare, il più facile da capire, il più facile da replicare come movimenti. E così cominciai, stravolsi gli appoggi, cambiai impugnatura, passando da continental ad una leggera eastern di rovescio, iniziai ad inarcare la schiena e copiai la sua caratteristica trophy position con il congiungimento dei due piedi in fase di caricamento. I risultati pian piano arrivarono. Cominciai ad avere un'idea su dove lanciare la pallina, su come indirizzarla e su come coprirla dall'alto. Ero contento, avevo abbandonato la prima piatta ma ora potevo contare su un servizio affidabile. E così arrivarono i primi tornei dove mettere in pratica quanto imparato. Disastro. Il braccino e la tensione mi facevano commettere valanghe di doppi falli, e persi fiducia nel colpo. Finché non capii una cosa. Il servizio in kick capisce se hai paura. E se hai paura di sbagliarlo lo sbagli, perché, diversamente da qualsiasi altro colpo, la velocità del braccio è direttamente proporzionale alla sua efficacia. E questa è la mia lunga e tediosa storia. Un saluto a tutti!
Ebbene questa volta non potevo nascondermi dietro a una scusa. Ero incazzato, e decisi di imparare un servizio non attaccabile. Sono alto 1.70 per cui sapevo che la battuta non poteva essere un colpo d'attacco definitivo come per altri, ma volevo che se l'avversario avesse voluto attaccarmi sul mio servizio, lo facesse a suo rischio e pericolo. Ma da dove cominciare? L'illuminazione arrivò non da Federer o Sampras o Nadal ma da Lleyton Hewitt. Il suo servizio mi sembrava il più lineare, il più facile da capire, il più facile da replicare come movimenti. E così cominciai, stravolsi gli appoggi, cambiai impugnatura, passando da continental ad una leggera eastern di rovescio, iniziai ad inarcare la schiena e copiai la sua caratteristica trophy position con il congiungimento dei due piedi in fase di caricamento. I risultati pian piano arrivarono. Cominciai ad avere un'idea su dove lanciare la pallina, su come indirizzarla e su come coprirla dall'alto. Ero contento, avevo abbandonato la prima piatta ma ora potevo contare su un servizio affidabile. E così arrivarono i primi tornei dove mettere in pratica quanto imparato. Disastro. Il braccino e la tensione mi facevano commettere valanghe di doppi falli, e persi fiducia nel colpo. Finché non capii una cosa. Il servizio in kick capisce se hai paura. E se hai paura di sbagliarlo lo sbagli, perché, diversamente da qualsiasi altro colpo, la velocità del braccio è direttamente proporzionale alla sua efficacia. E questa è la mia lunga e tediosa storia. Un saluto a tutti!