PAT RAFTER: PIÙ DI UNA SETTIMANA DA DIO
L'australiano arrivò in vetta al ranking mondiale, ma lo abbandonò dopo soli sette giorni. Allo stesso tempo, però, è rimasto nei cuori della gente anche dopo il suo ritiro, grazie a un tennis sempre all'attacco
di Alessandro Mastroluca | 15 dicembre 2019
https://www.supertennis.tv/News/Campioni-internazionali/191215-Pat-Rafter-story
Da giovane, Pat Rafter voleva giocare a tennis per comprarsi una casa. Settimo di nove figli, abituato a far tutto in gruppo con i fratelli, ha provato anche gli sport di squadra. Ma il tennis, in cui nessun colpo è mai davvero uguale all'altro, ha un fascino diverso. Ha chiuso la carriera con 11 titoli e 358 successi in singolare, a fronte di 191 sconfitte. Ha completato tre stagioni in Top 10, vinto due volte lo Us Open (1997 e 1998) e la Coppa Davis nel 1999, anche se non ha giocato la finale. Quell'anno, ha raggiunto anche la finale a Roma, dove nessun australiano si era mai spinto dal 1971, dalla vittoria di Rod Laver. Ed è salito al numero 1 del mondo: ci restò per una sola settimana in carriera, un record di brevità senza uguali.
Nel suo tennis c'è il suo modo di vedere il mondo, c'è la vita e c'è l'amore. Una passione per lo sport e la competizione che non diventa ossessione per la vittoria a ogni costo. Ci sono i valori con cui è cresciuto e che non ha mai tradito. Il pubblico, per questo, l'ha amato e rispettato. L'Australia rimane fiera del suo gentleman, simbolo della squadra di Davis prima da giocatore, poi da capitano.
Con Rafter, l'Australia del tennis ha anche riscoperto l'America. Quindici australiani, infatti, hanno vinto gli Us Championships, poi Us Open, dal primo successo di Frank Sedgman del 1951 all'ultimo di John Newcombe nel 1973. Poi, più nulla per 24 anni, fino al 1997. Rafter negli ottavi di quell'edizione supera Andre Agassi, che non crede nelle possibilità dell'australiano. “Rafter può vincere il titolo?” gli chiedono in conferenza stampa. “No” risponde secco.
Rafter, che prima di arrivare a New York ha centrato un'inattesa semifinale al Roland Garros persa contro Sergi Bruguera, si sente come sfidato. Il suo gioco migliora. Supera nei quarti lo svedese Magnus Larsson e in semifinale Michael Chang, allora numero 2 del mondo. “Non so perché, ma quel giorno ho giocato una gran partita”, ha raccontato in un'intervista recente pubblicata sul sito dello Us Open.
Ascolta un disco di Ben Harper, poi entra in campo nello stadio più grande del mondo, l'Arthur Ashe Stadium, inaugurato proprio in quell'edizione. “Mi sentivo un po' nervoso - ha ammesso - perché era la mia sesta finale dell'anno, avevo perso tutte le precedenti ma con Greg vincevo spesso. Ero favorito, e non ci ero abituato. Abbiamo giocato molto tesi tutti e due”. Rafter poggia sui suoi punti forti contro un avversario dagli schemi offensivi ma prevedibili. Si gioca sul campo in DecoTurf dipinto tutto di verde. Sul match point, racconta, “l'adrenalina inizia a scorrere veloce. L'obiettivo per cui hai lavorato tutta la vita è lì, a portata di mano. In mente, il punto l'avevo giocato già. Ed è andato esattamente come avevo immaginato”.
Scende a rete, chiude con la volée di dritto e vince 6-3 6-2 4-6 7-5: è il primo campione Slam australiano dal trionfo di Pat Cash che ha scalato il Royal Box dopo aver battuto Lendl a Wimbledon dieci anni prima. Rusedski, che ha la gola infiammata, parla con voce arrochita alla cerimonia di premiazione, adombrata dal ricordo vivo del funerale per la principessa Diana di 24 ore prima. Rafter, comunque, festeggia con il fratello Geoff, il suo primo coach.
E domina la finale contro Mark Philippoussis, la prima tutta Aussie allo Us Open dal 1970, quando Ken Rosewell sconfisse Tony Roche. In tutta la partita, Rafter commette cinque gratuiti. Difficile giocare meglio di così. Abituato a condividere le vittorie, dona 600 mila dollari, metà del montepremi vinto a New York, al Mater Hospital’s Foundation for Terminally Ill Children, fondazione di Brisbane per i bambini malati terminali. Con questo gesto vince l'Humanitarian Award che l'ATP ha intitolato ad Arthur Ashe in quel 1998.
PAT E LA DAVIS
Il 1999 inizia con il suo unico trionfo nello Slam di casa, in doppio. E' un segno, si direbbe. Perché l'ultima stagione del secondo millennio, per Rafter, è soprattutto l'anno di una grande emozione di squadra, in Coppa Davis. "In Australia, i ragazzi praticano tanti sport di squadra: cricket, rugby, football australiano. Anche a me piacciono, per questo mi diverto così tanto in Davis" diceva all'Observer. I risultati si vedono: vince 18 singolari su 28. Senza di lui, l'Australia non l'avrebbe vinta in quel 1999. Nei quarti contro gli Usa al Longwood Cricket Club di Boston, dove si giocò il primo incontro di Davis della storia, nella prima giornata domina Jim Courier 7-6 6-4 6-4. Nella terza, recupera uno svantaggio di due set, e di un break nel quinto, contro Todd Martin. Porta l'Australia in semifinale, ma assiste solo al trionfo in finale contro la Francia all'Acropolis Exhibition Hall di Nizza.
La Francia rimane nella sua storia in Davis. Nel 2001, nella prima giornata della finale che segna la rivincita dei Bleus alla Rod Laver Arena di Melbourne, piega 6-3 7-6 7-5 Sebastien Grosjean in quello che rimane il suo ultimo incontro di singolare. Perderà, in coppia con Hewitt, il doppio in quella finale contro Pioline e Santoro (la sua unica sconfitta nei quattro doppi giocati in Davis). Nicolas Escudé conquista contro Wayne Arthurs il punto decisivo per il titolo nel quinto singolare. Rafter, con una spalla malandata, non giocherà più.
I cinque set contro l'ormai ex “kid” di Las Vegas pesano nel match per il titolo contro Pete Sampras. Rafter vince il primo set al tie-break e sale 4-1 in quello che decide il secondo. Ma non basta. Sampras non perde mai il servizio, fino a quel momento ha subito tre break in sette finali giocate a Wimbledon, e conquista il quarto titolo di fila. Poi va ad abbracciare papà Sam e mamma Gloria, venuti a Wimbledon per la prima volta.
Sampras abdica il 2 luglio del 2001. La sua 68^ partita ai Championships vale l'inizio della rivoluzione, di cui è protagonista dal lato dello sconfitto, superato dallo scorrere del tempo. Perde negli ottavi contro un teen-ager con la coda di cavallo e la bandana, il primo a batterlo al quinto set a Church Road: Roger Federer.
Il filo di tensione e di speranza fra i due giocatori non si spezza fino al quinto set. Entrambi sentono di avere una grande occasione, entrambi sanno che probabilmente non ne avranno altre. L'ultimo game della partita fa storia a sé. Ivanisevic inizia a piangere, bacia la palla, arriva al match point e per l’emozione si inceppa: commette due doppi falli di fila. Manca i primi tre match point, poi si procura il quarto con l'ace numero 213 del suo torneo (battuto il suo record del 1992). E quando Rafter affossa in rete la risposta sulla prima esterna del croato, Ivanisevic entra nella leggenda come il più basso classificato e l’unica wild card nell’albo d’oro dei Championships.
Rafter lascia il tennis alla fine di quella stagione. Votato australiano dell'anno nel 2002, è stato capitano di Coppa Davis dal 2010 al gennaio 2015. Il centrale di Brisbane, tra le sedi della prima edizione della ATP Cup nel 2020, porta il suo nome. L'Australia non ha dimenticato il suo gentleman.
L'australiano arrivò in vetta al ranking mondiale, ma lo abbandonò dopo soli sette giorni. Allo stesso tempo, però, è rimasto nei cuori della gente anche dopo il suo ritiro, grazie a un tennis sempre all'attacco
di Alessandro Mastroluca | 15 dicembre 2019
https://www.supertennis.tv/News/Campioni-internazionali/191215-Pat-Rafter-story
Da giovane, Pat Rafter voleva giocare a tennis per comprarsi una casa. Settimo di nove figli, abituato a far tutto in gruppo con i fratelli, ha provato anche gli sport di squadra. Ma il tennis, in cui nessun colpo è mai davvero uguale all'altro, ha un fascino diverso. Ha chiuso la carriera con 11 titoli e 358 successi in singolare, a fronte di 191 sconfitte. Ha completato tre stagioni in Top 10, vinto due volte lo Us Open (1997 e 1998) e la Coppa Davis nel 1999, anche se non ha giocato la finale. Quell'anno, ha raggiunto anche la finale a Roma, dove nessun australiano si era mai spinto dal 1971, dalla vittoria di Rod Laver. Ed è salito al numero 1 del mondo: ci restò per una sola settimana in carriera, un record di brevità senza uguali.
LA SFIDA DI AGASSI
Nel suo tennis c'è il suo modo di vedere il mondo, c'è la vita e c'è l'amore. Una passione per lo sport e la competizione che non diventa ossessione per la vittoria a ogni costo. Ci sono i valori con cui è cresciuto e che non ha mai tradito. Il pubblico, per questo, l'ha amato e rispettato. L'Australia rimane fiera del suo gentleman, simbolo della squadra di Davis prima da giocatore, poi da capitano.
Con Rafter, l'Australia del tennis ha anche riscoperto l'America. Quindici australiani, infatti, hanno vinto gli Us Championships, poi Us Open, dal primo successo di Frank Sedgman del 1951 all'ultimo di John Newcombe nel 1973. Poi, più nulla per 24 anni, fino al 1997. Rafter negli ottavi di quell'edizione supera Andre Agassi, che non crede nelle possibilità dell'australiano. “Rafter può vincere il titolo?” gli chiedono in conferenza stampa. “No” risponde secco.
Rafter, che prima di arrivare a New York ha centrato un'inattesa semifinale al Roland Garros persa contro Sergi Bruguera, si sente come sfidato. Il suo gioco migliora. Supera nei quarti lo svedese Magnus Larsson e in semifinale Michael Chang, allora numero 2 del mondo. “Non so perché, ma quel giorno ho giocato una gran partita”, ha raccontato in un'intervista recente pubblicata sul sito dello Us Open.
TENSIONE E GIOIA
Ha espresso il meglio del suo tennis quando andava all'attacco. Su qualunque superficie, cercava il colpo profondo per prendere la rete e giocava una prima volée angolata, precisa e veloce, quasi sempre risolutiva. Nonostante un fisico imponente, si muoveva con rilassata agilità, trasmetteva energia ed eleganza insieme. In finale, a quegli Us Open, sfida Greg Rusedski.Ascolta un disco di Ben Harper, poi entra in campo nello stadio più grande del mondo, l'Arthur Ashe Stadium, inaugurato proprio in quell'edizione. “Mi sentivo un po' nervoso - ha ammesso - perché era la mia sesta finale dell'anno, avevo perso tutte le precedenti ma con Greg vincevo spesso. Ero favorito, e non ci ero abituato. Abbiamo giocato molto tesi tutti e due”. Rafter poggia sui suoi punti forti contro un avversario dagli schemi offensivi ma prevedibili. Si gioca sul campo in DecoTurf dipinto tutto di verde. Sul match point, racconta, “l'adrenalina inizia a scorrere veloce. L'obiettivo per cui hai lavorato tutta la vita è lì, a portata di mano. In mente, il punto l'avevo giocato già. Ed è andato esattamente come avevo immaginato”.
Scende a rete, chiude con la volée di dritto e vince 6-3 6-2 4-6 7-5: è il primo campione Slam australiano dal trionfo di Pat Cash che ha scalato il Royal Box dopo aver battuto Lendl a Wimbledon dieci anni prima. Rusedski, che ha la gola infiammata, parla con voce arrochita alla cerimonia di premiazione, adombrata dal ricordo vivo del funerale per la principessa Diana di 24 ore prima. Rafter, comunque, festeggia con il fratello Geoff, il suo primo coach.
CAMPIONE FUORI DAL CAMPO
Un anno dopo esce al secondo turno al Roland Garros contro Jason Stoltenberg: è il punto più basso della carriera. Negli Usa cambia passo. Conquista il titolo a Toronto e Cincinnati, i suoi unici successi nei Masters Series, oggi Masters 1000. A New York torna da campione in carica e al primo turno va sotto di due set contro il mancino marocchino Hitcham Arazi. Rafter rimonta e non si ferma. Batte in semifinale Pete Sampras, che ha un problema muscolare alla coscia sinistra.E domina la finale contro Mark Philippoussis, la prima tutta Aussie allo Us Open dal 1970, quando Ken Rosewell sconfisse Tony Roche. In tutta la partita, Rafter commette cinque gratuiti. Difficile giocare meglio di così. Abituato a condividere le vittorie, dona 600 mila dollari, metà del montepremi vinto a New York, al Mater Hospital’s Foundation for Terminally Ill Children, fondazione di Brisbane per i bambini malati terminali. Con questo gesto vince l'Humanitarian Award che l'ATP ha intitolato ad Arthur Ashe in quel 1998.
PAT E LA DAVIS
Il 1999 inizia con il suo unico trionfo nello Slam di casa, in doppio. E' un segno, si direbbe. Perché l'ultima stagione del secondo millennio, per Rafter, è soprattutto l'anno di una grande emozione di squadra, in Coppa Davis. "In Australia, i ragazzi praticano tanti sport di squadra: cricket, rugby, football australiano. Anche a me piacciono, per questo mi diverto così tanto in Davis" diceva all'Observer. I risultati si vedono: vince 18 singolari su 28. Senza di lui, l'Australia non l'avrebbe vinta in quel 1999. Nei quarti contro gli Usa al Longwood Cricket Club di Boston, dove si giocò il primo incontro di Davis della storia, nella prima giornata domina Jim Courier 7-6 6-4 6-4. Nella terza, recupera uno svantaggio di due set, e di un break nel quinto, contro Todd Martin. Porta l'Australia in semifinale, ma assiste solo al trionfo in finale contro la Francia all'Acropolis Exhibition Hall di Nizza.
La Francia rimane nella sua storia in Davis. Nel 2001, nella prima giornata della finale che segna la rivincita dei Bleus alla Rod Laver Arena di Melbourne, piega 6-3 7-6 7-5 Sebastien Grosjean in quello che rimane il suo ultimo incontro di singolare. Perderà, in coppia con Hewitt, il doppio in quella finale contro Pioline e Santoro (la sua unica sconfitta nei quattro doppi giocati in Davis). Nicolas Escudé conquista contro Wayne Arthurs il punto decisivo per il titolo nel quinto singolare. Rafter, con una spalla malandata, non giocherà più.
WIMBLEDON DOLCEAMARO
Ha sempre messo il tennis in prospettiva, Pat. Ha affrontato nello stesso modo gli spettri del trionfo e della disfatta, come suggeriva Kipling nei celebri versi scolpiti sulla porta che conduce al Centrale di Wimbledon. Lì, ha conosciuto due sconfitte dolorose in due finali consecutive, nel 2000 e nel 2001, conquistate sempre battendo Andre Agassi in semifinale.I cinque set contro l'ormai ex “kid” di Las Vegas pesano nel match per il titolo contro Pete Sampras. Rafter vince il primo set al tie-break e sale 4-1 in quello che decide il secondo. Ma non basta. Sampras non perde mai il servizio, fino a quel momento ha subito tre break in sette finali giocate a Wimbledon, e conquista il quarto titolo di fila. Poi va ad abbracciare papà Sam e mamma Gloria, venuti a Wimbledon per la prima volta.
Sampras abdica il 2 luglio del 2001. La sua 68^ partita ai Championships vale l'inizio della rivoluzione, di cui è protagonista dal lato dello sconfitto, superato dallo scorrere del tempo. Perde negli ottavi contro un teen-ager con la coda di cavallo e la bandana, il primo a batterlo al quinto set a Church Road: Roger Federer.
QUELLA FINALE CON GORAN
Rafter, invece, si spinge fino a una finale dai contorni da romanzo. Si gioca di lunedì, come non succedeva dal 1922. A due ore dalla partita ci sono diecimila biglietti disponibili e lo stadio si riempie di giovani festosi e rumorosi. C’è anche la nazionale australiana di cricket, che ha provato l’inno nazionale così da poterlo cantare se Rafter dovesse vincere. Rafter affronta Goran Ivanisevic, alla 14^ partecipazione ai Championships, e rimasto fermo per un anno e mezzo a causa di un infortunio alla spalla e in tabellone solo grazie a una wild card.Il filo di tensione e di speranza fra i due giocatori non si spezza fino al quinto set. Entrambi sentono di avere una grande occasione, entrambi sanno che probabilmente non ne avranno altre. L'ultimo game della partita fa storia a sé. Ivanisevic inizia a piangere, bacia la palla, arriva al match point e per l’emozione si inceppa: commette due doppi falli di fila. Manca i primi tre match point, poi si procura il quarto con l'ace numero 213 del suo torneo (battuto il suo record del 1992). E quando Rafter affossa in rete la risposta sulla prima esterna del croato, Ivanisevic entra nella leggenda come il più basso classificato e l’unica wild card nell’albo d’oro dei Championships.
Rafter lascia il tennis alla fine di quella stagione. Votato australiano dell'anno nel 2002, è stato capitano di Coppa Davis dal 2010 al gennaio 2015. Il centrale di Brisbane, tra le sedi della prima edizione della ATP Cup nel 2020, porta il suo nome. L'Australia non ha dimenticato il suo gentleman.