Dall’autobiografia di Andre Agassi:
“...
Nel 1989 i problemi col mio gioco sono dovuti in parte alla racchetta. Ho sempre usato una Prince, ma Nick (Bolletieri: ndr) mi ha convinto a firmare con una nuova società, la Donnay. Perché ? Perché era a corto di soldi e facendomi passare alla Donnay ha ottenuto un lucroso contratto per sé.
Nick gli dico, amo la Prince.
Potresti giocare anche con un manico di scopa, ribatte. Non avrebbe importanza.
Adesso, con la Donnay, mi sento come se stessi affettivamente giocando con un manico di scopa. Mi sento come se giocassi con la sinistra, come se fossi cerebroleso. C’è qualcosa che non va. La palla non mi dà retta. Non fa quello che le dico.
Sono a New York, a bighellonare con J.P.. La mezzanotte è passata da un pezzo. Sediamo in una squallida rosticceria con abbaglianti lampade a fluorescenza e uomini chiassosi seduti a un bancone che discutono in varie lingue dell’Europa dell’Est. Abbiamo una tazza di caffè ciascuno e io con la testa tra le mani continuo a ripetere: Quando colpisco la palla con questa nuova racchetta, non so dove va.
Troverai una soluzione, dice J.P.
Come ? Quale ?
Non lo so, ma la troverai. E’ una crisi passeggera, Andre. Una delle tante. Ce ne saranno altre, sicuro come il fatto che siamo seduti qui. Più grandi, più piccole e una via di mezzo. Tratta questa crisi come un allenamento e affrontare la prossima.
E poi la crisi si risolve durante un allenamento. Qualche giorno dopo sto palleggiando alla Bollettiery Accademy e qualcuno mi porge una Prince nuova. Colpisco tre palle, tre soltanto, ed è come una rivelazione. Ogni palla va precisa come un laser nel punto dove volevo che andasse. Il campo mi si apre come Xanadu.
Non m’importa di nessun accordo commerciale, dico a Nick. Non posso sacrificare la mia vita a un accordo commerciale.
Ci penso io, mi risponde.
Trucca una Prince, decorandola come una Donnay, e io ottengo diverse facili vittorie a Indian Wells. Perdo ai quarti, ma non m’importa perché ho ritrovato la mia racchetta e il mio gioco.
… “
Testo fedelmente estratto da: “Open, la mia storia” di Andre Agassi – Einaudi – ed. 2019 -pagg 164/165