La premessa è "io mento sempre". "Sempre" è la chiave, e la fonte dell'illogicità, dato il suo valore assoluto in un mondo, quello umano, che assoluto non è.
Riguardo alle discussioni fra lingue Occidentali e quelle Orientali, non so se qualcuno abbia mai pubblicato qualcosa di specifico alla questione iniziale del thread, ma basta conoscere un po' le lingue Orientali per capire che queste situazioni sono molto difficili da replicare. Le lingue Occidentali (almeno le più diffuse), semplificando al massimo, funzionano a "catena di montaggio" (soggetto + predicato verbale + complemento oggetto): nel momento che questa catena di montaggio è rispettata, la frase è valida, indipendentemente da quello che esprime; ovviamente nel tempo le singole parti sono state adeguate per favorire e rendere il più efficiente possibile il loro "montaggio". Nelle lingue Orientali si procede diversamente. Per il Cinese, per esempio Ct."Il cinese è potuto diventare una potente lingua di civiltà e una grande lingua letteraria senza doversi preoccupare né della ricchezza fonetica né della comodità grafica, senza nemmeno cercare di creare un materiale astratto di espressioni o di fornirsi di un armamentario sintattico. È riuscito a conservare alle parole e alle frasi un valore emblematico affatto concreto. Ha saputo riservare al solo ritmo la cura di organizzare l’espressione del pensiero. Come se volesse innanzitutto liberare lo spirito dal timore che le idee possano diventare sterili se espresse meccanicamente ed economicamente, la lingua cinese si è rifiutata di offrire quei comodi strumenti di specificazione e coordinazione apparente che sono i segni astratti e gli
artifici grammaticali. Si è conservata ostinatamente ribelle alle precisioni formali per amore della espressione adeguata, concreta, sintetica. Il cinese non sembra organizzato per notare concetti, analizzare idee, esporre discorsivamente dottrine. Nel suo insieme, esso è costruito per comunicare atteggiamenti sentimentali, per suggerire condotte, per convincere, per convertire.” (Granet, 1988)
Le parole sono nomi (ming) che si riferiscono a “cose esistenti” (wu) nelle realtà effettuali (shi). Difatti non esiste una parola che significhi “vecchio”, in compenso c’è un gran numero di termini che illustrano differenti aspetti della vecchiaia, con tutta una serie di sfumature. La costruzione degli ideogrammi segue due strade complementari:
1. 80% degli ideogrammi sono di tipo associativo (Needham, 1981). Rappresentano una sorta di equazioni mentali.
2. Le regole pratiche per la costruzione di questi ideogrammi possono essere sintetizzate da: “Appoggiarsi su ciò che precede”, “Ampliare le conoscenze”