Interessante questa analisi pubblicata su Ubitennis da Luca Baldi:
TENNIS - L'impressionante atletismo e i progressi tecnologici hanno
portato il tennis a un livello senza precedenti, motivo per cui i grandi
colpi del passato (come il dritto di Sampras) sembrano "vecchi". lucabaldi
Ritengo doverosa una premessa: le conclusioni del [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] su rotazioni e velocità di palla, pur supportate dai dati, volevano essere ironiche, essendo basate su riscontri e misurazioni se non sorprendenti sicuramente non scontate. Nessun intento dispregiativo, ci mancherebbe.
Che il dritto di Sampras sia stato uno dei colpi più clamorosi della storia del tennis non serve certo che venga a dirlo un semplice maestro di provincia quale sono io, così come il definire "arrotino" Federer era un'evidente provocazione fatta tenendo conto esclusivamente dei "crudi" numeri sulle rotazioni.
Il messaggio che però ritengo sia importante far comprendere è che l'evoluzione verso l'alto in termini di prestazioni tecniche e atletiche del tennis è una realtà,
e va accettata, per quanto innamorati si possa essere dei campioni del
passato. Sampras ha disintegrato il circuito per quasi dieci anni, e
rimarrà sempre uno dei giocatori più spettacolari e talentuosi mai visti. Però è altrettanto evidente che nelle condizioni di gioco odierne un dritto che gira a quasi 1000 r.p.m. meno degli altri non potrebbe essere competitivo,
e di conseguenza (qui chiedo scusa per il gergo “da campo”, chi gioca
mi capirà) se non tiri tutto sulle righe belve come Federer, Djokovic,
Nadal e Murray entrano in anticipo e ti spediscono sui teloni in tre
scambi. Dovesse poi venirti l'idea di sfuggire al martellamento andando a
rete, ti stampano il passante nei denti. Esattamente come avrebbe tranquillamente fatto Sampras con Borg o Laver.
Chiarito che il confronto tra epoche diverse sulla base della prestazione non è fattibile, è invece interessante esaminare dati disponibili solo da pochi anni (15, per l'esattezza) cercando di capire come questa evoluzione (innegabile a questo punto, spero) abbia avuto luogo, quali aspetti del gioco siano stati influenzati e in che misura. Le misurazioni le abbiamo viste. Tutti sono d'accordo sul fatto che gli attrezzi, le corde (soprattutto le corde, relativamente meno le racchette: Federer ha giocato fino al 2001 con una pro staff original praticamente uguale a quella utilizzata da Connors nel 1985,
e così Sampras), l'atletismo, le impugnature, le stance frontali,
eccetera, sono stati elementi determinanti per arrivare a tali valori.
Ma determinanti in che modo? I numeri finalmente hanno dato una
risposta, e c'è poco da fare, è univoca ed estremamente chiara. Più rotazione si è in grado di imprimere alla palla, più il colpo potrà essere veloce e di conseguenza efficace. Più la palla gira, più velocità potrà avere rimanendo dentro le righe, come conseguenza della traiettoria più arcuata. Al diminuire della rotazione in avanti, dovrà diminuire anche la velocità,
fino ad arrivare all'estremo teorico della palla assolutamente piatta,
quella colpita con impugnatura continentale, quella di cui si può
leggere la marca mentre è in volo, e che potendo contare solo sulla
forza di gravità per ricadere in campo dovrà necessariamente essere molto rallentata.
Non è un caso che le medie di top-spin di giocatori quali Roger, Rafa e
Nole, i quali non è che abbiano vinto poco ultimamente, siano le più
elevate.
Ribadisco che stiamo parlando di medie sullo scambio, non di accelerazioni o winner tirati prendendosi i rischi del caso. Ma tali medie costituiscono la “spina dorsale” del gioco di un tennista, la base su cui costruire le geometrie e gli anticipi
che portano all'apertura di campo, e di conseguenza al punto. Così come
non stiamo prendendo in considerazione altri aspetti
tecnici-tattici-strategici quali il timing, il cosiddetto “tocco di
palla”, le qualità agonistiche mentali e fisiche: queste sono le
variabili che determinano le differenze tra i campioni che ammiriamo
adesso, ma sono abilità che si collocano come un “di più” sulle solide
fondamenta della capacità (comune a tutti i professionisti di alto
livello attuali) di generare pressione con dei fondamentali da fondocampo velocissimi e carichi di rotazione. In una parola, colpi pesanti.
Non ha alcun senso guardare e prendere a paragone i video di highlights
con Sampras, Becker o Lendl, dove sembra che si tirino mazzate
paragonabili a quelle di adesso: probabilmente pure Bill Tilden avrà
colpito qualche dritto a 160 all'ora e più, a volte, così come può farlo
qualunque NC (magari mettendolo dentro in un caso su cento, per poi
raccontarlo al bar del circolo). Ma in una partita di tennis “standard”
immaginiamo che si giochino 120 punti, 6-4 6-4 con sei punti a game di
media. Immaginiamo pure che sia un partitone leggendario tra campionissimi in forma,
in vena di regalare magie al pubblico, in cui i tennisti realizzano
percentuali strepitose, diciamo 20 vincenti e 10 ace a testa. Totale 60.
Gli altri 60 punti (la meta! Ed è lì che le spesso partite prendono una direzione piuttosto che un'altra!) saranno determinati dalla capacità dei giocatori di tenere ritmi elevati (quindi rotazioni e velocità consistenti e continui)
che porteranno l'avversario all'errore, alla perdita di terreno sul
campo, alla fatica fisica nel tenere palleggi tanto impegnativi. Il
tracciante lungolinea da standing ovation, tra i professionisti, non è
praticamente mai un “jolly” giocato a caso, ma la possibilità stessa di tirarlo si origina nelle fasi precedenti dello scambio,
tipicamente un'efficace pressione sulle diagonali maggiori, soprattutto
– per ragioni geometriche e biomeccaniche - quella di dritto. Il tennis
è uno sport di percentuali, e tanto più si evolve verso prestazioni estreme, tanto più i margini anche piccoli (un centinaio di r.p.m. o 10 kmh in più sulla media del dritto, per esempio) fanno la differenza. Non certo la capacità di sparare un missile a fil di rete ogni tanto.
Personalmente, da tecnico, trovo impressionanti i prodigi balistici che i campioni di oggi riescono a ricavare dai loro colpi, ma quella che mi risulta assolutamente pazzesca è la mostruosa rapidità, coordinazione dei piedi e dell'equilibrio, perfezione del footwork, e tenuta atletica,
che permettono ai fenomeni attualmente in vetta alle classifiche di
coprire il campo a “ritmi base” di palleggio del genere, gestendo in
apparente disinvoltura sequenze da decine di colpi che in epoche precedenti sarebbero stati vincenti senza ritorno.
Fermo restando che, per lo spettatore come per l'addetto ai lavori, il fascino del colpo “al limite”, che sia un anticipo in controbalzo di Federer, un “banana shot” di Nadal, un recupero impossibile di Djokovic,
e chi più ne ha più ne metta, costituisce la principale ragione per cui
il tennis risulta tanto appassionante. Ma comprendere meglio le
fondamenta da cui nasce il tutto, quindi ritmo, pressione, rotazioni e footwork,
non deve essere visto come uno svilire la bellezza del gioco
riducendolo a numeri e percentuali: al contrario, deve far riflettere su
quali livelli di abilità e talento ci vogliano oggi per emergere e
brillare in uno sport tanto evoluto e a mio avviso ormai vicino ai propri limiti assoluti.
TENNIS - L'impressionante atletismo e i progressi tecnologici hanno
portato il tennis a un livello senza precedenti, motivo per cui i grandi
colpi del passato (come il dritto di Sampras) sembrano "vecchi". lucabaldi
Ritengo doverosa una premessa: le conclusioni del [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] su rotazioni e velocità di palla, pur supportate dai dati, volevano essere ironiche, essendo basate su riscontri e misurazioni se non sorprendenti sicuramente non scontate. Nessun intento dispregiativo, ci mancherebbe.
Che il dritto di Sampras sia stato uno dei colpi più clamorosi della storia del tennis non serve certo che venga a dirlo un semplice maestro di provincia quale sono io, così come il definire "arrotino" Federer era un'evidente provocazione fatta tenendo conto esclusivamente dei "crudi" numeri sulle rotazioni.
Il messaggio che però ritengo sia importante far comprendere è che l'evoluzione verso l'alto in termini di prestazioni tecniche e atletiche del tennis è una realtà,
e va accettata, per quanto innamorati si possa essere dei campioni del
passato. Sampras ha disintegrato il circuito per quasi dieci anni, e
rimarrà sempre uno dei giocatori più spettacolari e talentuosi mai visti. Però è altrettanto evidente che nelle condizioni di gioco odierne un dritto che gira a quasi 1000 r.p.m. meno degli altri non potrebbe essere competitivo,
e di conseguenza (qui chiedo scusa per il gergo “da campo”, chi gioca
mi capirà) se non tiri tutto sulle righe belve come Federer, Djokovic,
Nadal e Murray entrano in anticipo e ti spediscono sui teloni in tre
scambi. Dovesse poi venirti l'idea di sfuggire al martellamento andando a
rete, ti stampano il passante nei denti. Esattamente come avrebbe tranquillamente fatto Sampras con Borg o Laver.
Chiarito che il confronto tra epoche diverse sulla base della prestazione non è fattibile, è invece interessante esaminare dati disponibili solo da pochi anni (15, per l'esattezza) cercando di capire come questa evoluzione (innegabile a questo punto, spero) abbia avuto luogo, quali aspetti del gioco siano stati influenzati e in che misura. Le misurazioni le abbiamo viste. Tutti sono d'accordo sul fatto che gli attrezzi, le corde (soprattutto le corde, relativamente meno le racchette: Federer ha giocato fino al 2001 con una pro staff original praticamente uguale a quella utilizzata da Connors nel 1985,
e così Sampras), l'atletismo, le impugnature, le stance frontali,
eccetera, sono stati elementi determinanti per arrivare a tali valori.
Ma determinanti in che modo? I numeri finalmente hanno dato una
risposta, e c'è poco da fare, è univoca ed estremamente chiara. Più rotazione si è in grado di imprimere alla palla, più il colpo potrà essere veloce e di conseguenza efficace. Più la palla gira, più velocità potrà avere rimanendo dentro le righe, come conseguenza della traiettoria più arcuata. Al diminuire della rotazione in avanti, dovrà diminuire anche la velocità,
fino ad arrivare all'estremo teorico della palla assolutamente piatta,
quella colpita con impugnatura continentale, quella di cui si può
leggere la marca mentre è in volo, e che potendo contare solo sulla
forza di gravità per ricadere in campo dovrà necessariamente essere molto rallentata.
Non è un caso che le medie di top-spin di giocatori quali Roger, Rafa e
Nole, i quali non è che abbiano vinto poco ultimamente, siano le più
elevate.
Ribadisco che stiamo parlando di medie sullo scambio, non di accelerazioni o winner tirati prendendosi i rischi del caso. Ma tali medie costituiscono la “spina dorsale” del gioco di un tennista, la base su cui costruire le geometrie e gli anticipi
che portano all'apertura di campo, e di conseguenza al punto. Così come
non stiamo prendendo in considerazione altri aspetti
tecnici-tattici-strategici quali il timing, il cosiddetto “tocco di
palla”, le qualità agonistiche mentali e fisiche: queste sono le
variabili che determinano le differenze tra i campioni che ammiriamo
adesso, ma sono abilità che si collocano come un “di più” sulle solide
fondamenta della capacità (comune a tutti i professionisti di alto
livello attuali) di generare pressione con dei fondamentali da fondocampo velocissimi e carichi di rotazione. In una parola, colpi pesanti.
Non ha alcun senso guardare e prendere a paragone i video di highlights
con Sampras, Becker o Lendl, dove sembra che si tirino mazzate
paragonabili a quelle di adesso: probabilmente pure Bill Tilden avrà
colpito qualche dritto a 160 all'ora e più, a volte, così come può farlo
qualunque NC (magari mettendolo dentro in un caso su cento, per poi
raccontarlo al bar del circolo). Ma in una partita di tennis “standard”
immaginiamo che si giochino 120 punti, 6-4 6-4 con sei punti a game di
media. Immaginiamo pure che sia un partitone leggendario tra campionissimi in forma,
in vena di regalare magie al pubblico, in cui i tennisti realizzano
percentuali strepitose, diciamo 20 vincenti e 10 ace a testa. Totale 60.
Gli altri 60 punti (la meta! Ed è lì che le spesso partite prendono una direzione piuttosto che un'altra!) saranno determinati dalla capacità dei giocatori di tenere ritmi elevati (quindi rotazioni e velocità consistenti e continui)
che porteranno l'avversario all'errore, alla perdita di terreno sul
campo, alla fatica fisica nel tenere palleggi tanto impegnativi. Il
tracciante lungolinea da standing ovation, tra i professionisti, non è
praticamente mai un “jolly” giocato a caso, ma la possibilità stessa di tirarlo si origina nelle fasi precedenti dello scambio,
tipicamente un'efficace pressione sulle diagonali maggiori, soprattutto
– per ragioni geometriche e biomeccaniche - quella di dritto. Il tennis
è uno sport di percentuali, e tanto più si evolve verso prestazioni estreme, tanto più i margini anche piccoli (un centinaio di r.p.m. o 10 kmh in più sulla media del dritto, per esempio) fanno la differenza. Non certo la capacità di sparare un missile a fil di rete ogni tanto.
Personalmente, da tecnico, trovo impressionanti i prodigi balistici che i campioni di oggi riescono a ricavare dai loro colpi, ma quella che mi risulta assolutamente pazzesca è la mostruosa rapidità, coordinazione dei piedi e dell'equilibrio, perfezione del footwork, e tenuta atletica,
che permettono ai fenomeni attualmente in vetta alle classifiche di
coprire il campo a “ritmi base” di palleggio del genere, gestendo in
apparente disinvoltura sequenze da decine di colpi che in epoche precedenti sarebbero stati vincenti senza ritorno.
Fermo restando che, per lo spettatore come per l'addetto ai lavori, il fascino del colpo “al limite”, che sia un anticipo in controbalzo di Federer, un “banana shot” di Nadal, un recupero impossibile di Djokovic,
e chi più ne ha più ne metta, costituisce la principale ragione per cui
il tennis risulta tanto appassionante. Ma comprendere meglio le
fondamenta da cui nasce il tutto, quindi ritmo, pressione, rotazioni e footwork,
non deve essere visto come uno svilire la bellezza del gioco
riducendolo a numeri e percentuali: al contrario, deve far riflettere su
quali livelli di abilità e talento ci vogliano oggi per emergere e
brillare in uno sport tanto evoluto e a mio avviso ormai vicino ai propri limiti assoluti.