Novita' in libreria
" Storie di sport, storie di donne" e' il titolo del libro di Giovanni Malagò, presentato al CONI nella Giornata internazionale della donna.
Insieme alla giornalista Nicoletta Melone, l'autore racconta diciassette storie di successo: da Federica Pellegrini a Flavia Pennetta, da Manuela Di Centa a Valentina Vezzali.
Malagò devolverà tutti i suoi proventi a favore delle atlete disabili.
Atleta. Una parola che non ha genere, almeno al singolare. Ogni atleta è una vita, è una storia. Giovanni Malagò ha scelto il giorno che celebra le conquiste politiche e sociali delle donne, secondo una tradizione che inizia l’8 marzo 1917, data della protesta delle donne di Mosca che hanno dato il via alla “Rivoluzione di Febbraio” e al crollo dello zarismo, per presentare il suo libro, “Storie di sport, storie di donne” (Rizzoli editore). Storie scelte, come scrive nell’introduzione, “per la mia passione – sconfinata, magari in qualche momento anche esagerata – per tutto ciò che è sport”. Diciassette pennellate in cui la donna e l’atleta si completano; in cui insieme ai freddi numeri dei record, delle medaglie, dei piazzamenti, si illumina il dietro le quinte, il percorso di vita che ha portato a quei risultati.
«Un percorso fatto di carattere, di etica, di forza, di morale, ma anche di società, di famiglia» ha spiegato Manuela Di Centa, prima donna italiana a entrare da dirigente nel Comitato olimpico internazionale, intervenuta alla presentazione nella lussuosa cornice del Salone d’onore del CONI. Nelle parole con cui Malagò apre il capitolo dedicato a “Nostra Signora di Lillehammer” c’è affetto e c’è ammirazione. C’è “un’amicizia da compagno di banco” perché Manuela “è una che sa quello che vuole. Perché è una che si prepara. Perché è una che non molla. Perché è una che sa aprire le strade. Sui monti e nella vita”.
Manuela è una delle diciassette donne che ha accettato di aprirsi e di raccontarsi a Nicoletta Melone, coautrice del libro e curatrice della rubrica “Donne & sport” che Malagò tiene sul settimanale A. Per sua stessa ammissione, Nicoletta non conosceva nessuna delle atlete che ha poi intervistato. Ma la sua esperienza nel raccontare le storie di donne consegna al racconto lo spessore e l’intensità della vita che si realizza attraverso lo sport.
Uno spessore che diventa tanto più importante quando si aggiunge una terza dimensione, quando la donna è atleta e disabile. Sono quattro le atlete di punta del movimento paralimpico presenti nel libro: Annalisa Minetti, Francesca Porcellato, Paola Protopapa e Giusy Versace. Se la Minetti e la Versace, per ragioni extra-sportive, erano già note al pubblico, Francesca Porcellato è una scoperta, per gli autori e per i lettori. Nonostante le undici medaglie olimpiche vinte, 10 ai Giochi estivi e una in quelli invernali.
«Mi piace che venga raccontata la mia storia» dice, «perché non sempre viene data attenzione al percorso che porta ai podi e alle vittorie. Un percorso fatto di convinzione, di obiettivi, di sogni, di cadute e di rialzate. Io mi alleno sei ore al giorno. Ed è importante poter trasmettere questo messaggio: le medaglie non piovono dal cielo». A loro, alle atlete italiane disabili, Malagò devolverà interamente tutti i suoi proventi della vendita del libro. Un’occasione, ha spiegato Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico, «per trarre da questo libro, dalle storie di queste donne straordinarie, un’occasione di riflessione in materia di politica sportiva. E insieme per eliminare, per dematerializzare l’eccessiva categorizzazione che accompagna lo sport paralimpico, ancor di più al femminile».
Nel libro c’è il meglio dello sport italiano: Tania Cagnotto, Deborah Compagnoni, Giulia Conti e Giovanna Micol, Antonella Del Core, Josefa Idem, Carolina Kostner, Federica Pellegrini, Flavia Pennetta, Francesca Piccinini, Alessandra Sensini, Valentina Vezzali. Esempi fulgidi della rivoluzione, del sorpasso di qualità che si è avuto nel recente passato in Italia: “L’elite del nostro sport” scriveva Candido Cannavò, “è donna”.
I numeri, snocciolati dal segretario generale del CONI Raffaele Pagnozzi, sostanziano e rafforzano il concetto. «Ai Giochi di Barcellona ‘92, le donne rappresentavano il 20% della delegazione e hanno vinto una medaglia su 4. A Pechino c’è stato il pareggio in termini di numero di partecipanti e di ori; sul totale, le donne hanno conquistato il 40% delle medaglie».
Ma il sorpasso lo si vede anche dai dettagli. «E’ donna l’atleta con più medaglie alle Olimpiadi invernali (Stefania Belmondo). È donna l’atleta con più medaglie olimpiche nella vela (Alessandra Sensini). Nessuno ha vinto più medaglie olimpiche di Valentina Vezzali e Giovanna Trillini. Nessuno ha partecipato a più edizioni delle Olimpiadi di Josefa Idem. Una donna ha il record di atleta più giovane ai Giochi (Luciana Marcellini) e di medagliata più giovane (Elena Gigli). Solo una donna nella storia dello sport Italiano ha vinto l’oro firmando anche il nuovo record del mondo (Federica Pellegrini)».
In più l’Italia ha avuto tre portabandiera donne alle Olimpiadi estive (Miranda Cicognani a Helsinki nel ‘52, Sara Simeoni a Los Angeles 1984 e Giovanna Trillini ad Atlanta 096). Solo gli Usa (4) ne hanno avute di più. E ai Giochi invernali è sempre stata scelta una donna da Lillehammer ‘92 a Torino 2006.
Sono tutte storie di punti di arrivo, storie di percorsi culminati in un happy ending. Ma sono tutte storie scritte per chi ancora deve arrivare, o per chi magari quel percorso lo deve ancora iniziare. Ha ragione, concedetemelo, Manuela Di Centa quando conclude che «c’è ancora molto da fare», che «non ci dovrebbe essere una giornata delle donne da celebrare. Ma bisognerebbe insistere perché i giovani, fin da piccoli, vengano educati a sentire che uomini e donne sono uguali. E invece sono troppe le competizioni, ai livelli più bassi, in cui, ad esempio, i premi per gli uomini sono superiori, a volte doppi, di quelli per le donne».
UBITennis (n.d.r.)
" Storie di sport, storie di donne" e' il titolo del libro di Giovanni Malagò, presentato al CONI nella Giornata internazionale della donna.
Insieme alla giornalista Nicoletta Melone, l'autore racconta diciassette storie di successo: da Federica Pellegrini a Flavia Pennetta, da Manuela Di Centa a Valentina Vezzali.
Malagò devolverà tutti i suoi proventi a favore delle atlete disabili.
Atleta. Una parola che non ha genere, almeno al singolare. Ogni atleta è una vita, è una storia. Giovanni Malagò ha scelto il giorno che celebra le conquiste politiche e sociali delle donne, secondo una tradizione che inizia l’8 marzo 1917, data della protesta delle donne di Mosca che hanno dato il via alla “Rivoluzione di Febbraio” e al crollo dello zarismo, per presentare il suo libro, “Storie di sport, storie di donne” (Rizzoli editore). Storie scelte, come scrive nell’introduzione, “per la mia passione – sconfinata, magari in qualche momento anche esagerata – per tutto ciò che è sport”. Diciassette pennellate in cui la donna e l’atleta si completano; in cui insieme ai freddi numeri dei record, delle medaglie, dei piazzamenti, si illumina il dietro le quinte, il percorso di vita che ha portato a quei risultati.
«Un percorso fatto di carattere, di etica, di forza, di morale, ma anche di società, di famiglia» ha spiegato Manuela Di Centa, prima donna italiana a entrare da dirigente nel Comitato olimpico internazionale, intervenuta alla presentazione nella lussuosa cornice del Salone d’onore del CONI. Nelle parole con cui Malagò apre il capitolo dedicato a “Nostra Signora di Lillehammer” c’è affetto e c’è ammirazione. C’è “un’amicizia da compagno di banco” perché Manuela “è una che sa quello che vuole. Perché è una che si prepara. Perché è una che non molla. Perché è una che sa aprire le strade. Sui monti e nella vita”.
Manuela è una delle diciassette donne che ha accettato di aprirsi e di raccontarsi a Nicoletta Melone, coautrice del libro e curatrice della rubrica “Donne & sport” che Malagò tiene sul settimanale A. Per sua stessa ammissione, Nicoletta non conosceva nessuna delle atlete che ha poi intervistato. Ma la sua esperienza nel raccontare le storie di donne consegna al racconto lo spessore e l’intensità della vita che si realizza attraverso lo sport.
Uno spessore che diventa tanto più importante quando si aggiunge una terza dimensione, quando la donna è atleta e disabile. Sono quattro le atlete di punta del movimento paralimpico presenti nel libro: Annalisa Minetti, Francesca Porcellato, Paola Protopapa e Giusy Versace. Se la Minetti e la Versace, per ragioni extra-sportive, erano già note al pubblico, Francesca Porcellato è una scoperta, per gli autori e per i lettori. Nonostante le undici medaglie olimpiche vinte, 10 ai Giochi estivi e una in quelli invernali.
«Mi piace che venga raccontata la mia storia» dice, «perché non sempre viene data attenzione al percorso che porta ai podi e alle vittorie. Un percorso fatto di convinzione, di obiettivi, di sogni, di cadute e di rialzate. Io mi alleno sei ore al giorno. Ed è importante poter trasmettere questo messaggio: le medaglie non piovono dal cielo». A loro, alle atlete italiane disabili, Malagò devolverà interamente tutti i suoi proventi della vendita del libro. Un’occasione, ha spiegato Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico, «per trarre da questo libro, dalle storie di queste donne straordinarie, un’occasione di riflessione in materia di politica sportiva. E insieme per eliminare, per dematerializzare l’eccessiva categorizzazione che accompagna lo sport paralimpico, ancor di più al femminile».
Nel libro c’è il meglio dello sport italiano: Tania Cagnotto, Deborah Compagnoni, Giulia Conti e Giovanna Micol, Antonella Del Core, Josefa Idem, Carolina Kostner, Federica Pellegrini, Flavia Pennetta, Francesca Piccinini, Alessandra Sensini, Valentina Vezzali. Esempi fulgidi della rivoluzione, del sorpasso di qualità che si è avuto nel recente passato in Italia: “L’elite del nostro sport” scriveva Candido Cannavò, “è donna”.
I numeri, snocciolati dal segretario generale del CONI Raffaele Pagnozzi, sostanziano e rafforzano il concetto. «Ai Giochi di Barcellona ‘92, le donne rappresentavano il 20% della delegazione e hanno vinto una medaglia su 4. A Pechino c’è stato il pareggio in termini di numero di partecipanti e di ori; sul totale, le donne hanno conquistato il 40% delle medaglie».
Ma il sorpasso lo si vede anche dai dettagli. «E’ donna l’atleta con più medaglie alle Olimpiadi invernali (Stefania Belmondo). È donna l’atleta con più medaglie olimpiche nella vela (Alessandra Sensini). Nessuno ha vinto più medaglie olimpiche di Valentina Vezzali e Giovanna Trillini. Nessuno ha partecipato a più edizioni delle Olimpiadi di Josefa Idem. Una donna ha il record di atleta più giovane ai Giochi (Luciana Marcellini) e di medagliata più giovane (Elena Gigli). Solo una donna nella storia dello sport Italiano ha vinto l’oro firmando anche il nuovo record del mondo (Federica Pellegrini)».
In più l’Italia ha avuto tre portabandiera donne alle Olimpiadi estive (Miranda Cicognani a Helsinki nel ‘52, Sara Simeoni a Los Angeles 1984 e Giovanna Trillini ad Atlanta 096). Solo gli Usa (4) ne hanno avute di più. E ai Giochi invernali è sempre stata scelta una donna da Lillehammer ‘92 a Torino 2006.
Sono tutte storie di punti di arrivo, storie di percorsi culminati in un happy ending. Ma sono tutte storie scritte per chi ancora deve arrivare, o per chi magari quel percorso lo deve ancora iniziare. Ha ragione, concedetemelo, Manuela Di Centa quando conclude che «c’è ancora molto da fare», che «non ci dovrebbe essere una giornata delle donne da celebrare. Ma bisognerebbe insistere perché i giovani, fin da piccoli, vengano educati a sentire che uomini e donne sono uguali. E invece sono troppe le competizioni, ai livelli più bassi, in cui, ad esempio, i premi per gli uomini sono superiori, a volte doppi, di quelli per le donne».
UBITennis (n.d.r.)