IL DISASTRO DELLE SUPERFICI
Dal 2008, l'Australian Open ha scelto la lenta superficie in Plexicushion Prestige
Dal 2008, l'Australian Open ha scelto la lenta superficie in Plexicushion Prestige
Rallentate, rallentate, qualche cosa resterà. Ma cosa, se non giocatori fatti con lo stampo?
Leggo le dichiarazioni di Murray post finale a Dubai e quasi mi indigno: «Meno male che adesso si va a Indian Wells a giocare sul lento». Eccerto, meno male, Indian Wells, lento. Il tennis è diventato il negativo di se stesso: hanno rovesciato gli dèi, ciò che era bianco è diventato nero. Ehi, ragazzi, meno male che giochiamo sulla terra del Roland Garros, così possiamo fare un po' di serve&volley. Beh, dai, meno male che tra poco inizierà Wimbledon, così vedremo un bel po' di scambi da fondocampo. E in Australia? Da quelle parti, fino al 1987, lo Slam si giocava sull'erba. Poi lo spostarono a Flinders Park, su una resina sintetica veloce (il Rebound Ace, che però aveva un piccolo problema: a 50 gradi diventava quasi fluido e si incollava alle suole delle scarpe). Da cinque anni a questa parte gli aussie hanno scelto il Plexicushion Prestige, una mescola più lenta del bradipo tridattilo. Combinata con le palle Wilson AusOpen, fare il punto è diventato più o meno facile quanto sul centrale di Buenos Aires, dopo un acquazzone, contro Ferrer piantato tre metri dietro la riga di fondo.
Tra poco la rivoluzione sarà metabolizzata e nessuno strabuzzerà più gli occhi a sentir dire che Indian Wells e Miami sono tornei su superfici lente, adatte a chi ama gli scambi dai venti colpi in su. È la direzione scelta con ostinata insipienza dal tennis mondiale, nella certezza che gli scambi più lunghi facciano divertire di più la gente rispetto all'uno-due dei campi veloci degli anni Novanta (servizio-risposta e a volte volée, spesso anche solo servizio senza risposta). La cura ha funzionato come una bombola di napalm lanciata su un campo di grano: ha fatto fuori le erbacce, sì, ma insieme a tutto il raccolto. Federer si è apertamente lamentato della situazione: a parte Dubai e in paio di eventi a fine anno (Basilea, Bercy, il Master) i campi sono lenti. Tutti. Erba compresa, per non parlare del cemento-tartaruga in versione moderna (avete notato com'è diverso rispetto a quello del passato? Granuloso, rugoso, scabro: attutisce e frena la palla, ne ingrossa il feltro trasformandola in un gatto di pelo giallo. Impossibile tirare colpi vincenti, in quelle condizioni).
Volete la prova? Guardate qualche scambio della finale australiana del 1991.
E confrontatelo con i filmati dell'edizione di ventuno anni dopo (ne trovate a iosa su YouTube): altri materiali, altre corde, due decenni di progresso, sì. Eppure la palla, dopo il rimbalzo, sembra viaggi col freno a mano tirato.
Federico Ferrero - Tennisbest